Grazie al 25 aprile scopriamo che, a Macerata, il vero
problema non sono le gang di immigrati che imperversano sul territorio, consci
della totale impunità che garantisce loro questo Paese; non sono gli ospiti che
manteniamo a spese nostre che violentano e macellano le nostre donne; non è lo
spaccio di droga, diventato ormai endemico. No. Il vero problema, nemmeno a
dirlo, è il Fascismo.
A Macerata, ieri, è andata in scena la più genuina
manifestazione antifascista, come la intendono i fanatici del 25 aprile: un
manichino di Benito Mussolini appeso a testa in giù, con i bambini – le future
leve dell’antifascismo odioso e militante – che gli spaccano la testa a colpi di bastone per
collezionare cioccolatini e caramelle. La macabra e oscena esposizione di
Piazzale Loreto – quella che fu definita, a ragione, una vera e propria “macelleria
messicana”, vent’anni dopo. Sorvoliamo sul buon gusto dei democratici di
sinistra: almeno non ci sono Fascisti in carne ed ossa, ma solo manichini di
plastica. Visti i tempi, ci sembra già un passo avanti. Con il vicesindaco,
Stefania Monteverde, che plaude felice all’iniziativa dei centri sociali e dei
teppisti di sinistra, (in)degni organizzatori della manifestazione.
A Macerata, ieri, è stato rappresentato il 25 aprile
per come lo intendono questi lugubri personaggi, che si richiamano solo ed
unicamente a parole per quegli ideali di democrazia e tolleranza che dovrebbero
(e sottolineiamo, dovrebbero) appartenere ai democratici, ma, che in realtà,
nascondono tutt’altro: vogliono riservarci lo stesso destino di Benito
Mussolini appeso a testa in giù e massacrato già cadavere; o di Sergio Ramelli,
lasciato riverso su un marciapiede con la materia celebrale che gli colava sull’asfalto;
come Mikis Mantakas, come Terracciani, come Manolis Kapellonis e Yorgos
Fundulidis, i due giovani militanti di Alba Dorata massacrati a colpi di mitra;
come i fratelli Mattei, bruciati vivi, con tanto di Achille Lollo, uno degli
assassini, che se la spassava felice all’estero, grazie agli aiuti di Dario Fo
e Franca Rame, ancora oggi lodati come esempio di militanza democratica e sensibilità
antifascista. Questi vogliono ammazzarci tutti. Di parlare, di confrontarsi,
gli importa come al mio cane interessa Vitruvio.
Sorvoliamo sul rispetto dei morti che ha questi lugubre
gentaglia. I loro nonni sparavano alle spalle dei fascisti per poi nascondersi
tra i monti; buttavano le donne dei fascisti in mezzo alla strada e le
trascinavano sui carri con gli asini, per essere facile bersaglio della cagnara
democratica; piazzavano le bombe nelle strade per fomentare le legittime
rappresaglie di guerra della controparte, salvo poi piagnucolare per le vittime
civili (via Rasella insegna, e dice tutto). Questi qui sono i loro degni
nipotini. Ci ammazzerebbero senza fare una piega, anzi, col sorriso sulle
labbra. Un intero sistema di potere, che passa per i Bergoglio, attraversa i Severgnini
e finisce con Fiano, Saviano e la Boldrini, li ha addestrati, come delle
scimmiette da circo, a pensare che i fascisti non hanno alcun diritto di
cittadinanza, in questo Paese; che siamo un cancro, una malattia da estirpare. Dei
subanimali con l’osso in testa e la clava in mano, che girano per le strade italiane
a caccia di immigrati: questa è la rappresentazione che è stata fatta di noi,
di quelli che, bene o male, si identificano con le nostre idee (iniziando da
Fratelli d’Italia e finendo con Fascismo e Libertà).
Un intero regime – formato da stampa, politica,
magistratura, opinione pubblica (risultato delle prime tre) – auspica, col
sorriso sulle labbra, la nostra eliminazione fisica. O, quantomeno, alzerebbe un sopracciglio, casomai ci scappasse il morto. Provate a pensare cosa
sarebbe accaduto se si fosse verificato l’esatto contrario: dei manifestanti
più o meno simpatizzanti del Fascismo che, in occasione del 25 aprile,
appendono un manichino con un fazzoletto rosso e il pugno chiuso in una piazza e
lo fanno sventrare da dei bambini di dieci anni, col plauso delle autorità
istituzionali. Ve l’assicuro: sarebbe scoppiato il finimondo e il tutto non si
sarebbe concluso coi sorrisini sornioni di Stefania Monteverde.
Non lasciamoci ingannare: dagli anni ’20 ad oggi – ed è
passato quasi un secolo – la sinistra, e quella comunista in particolare, è
rimasta sempre la stessa: violenta, terrorista, eversiva, implacabile. Sono
sempre loro: negli anni ’20 sputavano e picchiavano i reduci della prima guerra
mondiale o quelli che entravano in fabbrica nonostante i picchetti dei “compagni”;
nel ’40 piazzavano bombe come se non ci fosse un domani e sparavano alle spalle
– tant’è che il gappismo, sparare alle spalle e poi sparire, è un fiore all’occhiello
della “lotta partigiana”; negli anni Settanta prendevano a martellate in testa
ragazzini colpevoli di far parte delle MSI o di parlare male delle Brigate
Rosse nei temi scolastici, come Sergio Ramelli, la cui morte suscitò un
applauso tra i banchi della sinistra del Comune di Milano; oggi i centri
sociali aggrediscono in dieci contro uno, come accaduto al nostro fu dirigente
della Campania, Raffaele Balsamo, portato in un vicolo di strada con l’inganno
e massacrato a calci e pugni.
Sono sempre loro, sempre gli stessi, perché sempre la
stessa è la cultura alla quale fanno riferimento: una cultura scevra da
qualunque impulso propositivo o costruttivo, infarcita esclusivamente di morte
e di odio.
Siamo sempre più orgogliosi di non far parte della cagnara
ch sbraita il 25 aprile. Siamo sempre più fieri di stare dalla parte sbagliata
della barricata.