sabato 27 febbraio 2016

Perché Donald Trump mi sta simpatico



Anche nella nostra area pullulano quelli che ormai identifichiamo come i radical chic. Non vanno alle apericene antifasciste e alle biciclettate antirazziste, ma comunque ci sono. Sono coloro che, col prosecchino in mano, nell’ultimo localino alla moda (io i localini alla moda, almeno quelli del cagliaritano, li frequento, quindi li sento parlare e lo so) sentenziano “Non importa chi vincerà le elezioni presidenziali degli Stati Uniti: tanto fanno tutti parte del sistema”.

Ora, tralasciando queste macchiette prestate alla politica, e tralasciando che cosa possa significare sistema, mi spiace contraddire questi politologi mancati, ma le elezioni americane interessano a tutti, specialmente a noi, che siamo, a dir poco, trainati dalla locomotiva americana. 

Io lo dico chiaramente: se proprio devo simpatizzare per qualcuno, allora mi auguro che vinca Donald Trump. Il personaggio ha portato, a suo modo, una ventata di politicamente scorretto e di “ignoranza” nel panorama politico americano. E non è poco.

Si fece già conoscere diversi mesi fa quando di sua figlia sentenziò: “E’ una bella ragazza: se non fossi suo padre le avrei già chiesto di uscire”. E giù tutti i media a dargli addosso, a condire di depravazione e immoralità una battuta assolutamente divertente e che solo i malati di mente, quali nella loro stragrande maggioranza sono appunto gli antifascisti in servizio permanente ed effettivo, possono tacciare di immoralità (loro, oltretutto). 

Oppure quando, in un tweet, profuse questa perla: “Se Hillary Clinton non è riuscita nemmeno a soddisfare il suo uomo come pensa di poter soddisfare l’America?”

Interrogato sui problemi dell’immigrazione, se ne uscì affermando che era necessario chiudere totalmente le frontiere agli arabi e ai musulmani ed eventualmente bloccando anche internet in quelle aree, per impedire il reclutamento dei terroristi via web. Del resto, come disse lui stesso al giornalista che gli contestò questa affermazione, “Non sono stati mica gli svedesi a buttare giù il World Trade Center”. 

Eppure, Donald Trump spaventa l’establishment ufficiale americano, non solo poiché è capace, innanzitutto, di dire con una pacatezza esemplare quello che miliardi di persone sulla terra pensano ma, contrariamente a lui, non hanno il coraggio di affermare, bensì anche perché, a suo modo, è una scheggia impazzita all’interno di quel sistema ermeticamente chiuso dei partiti e delle lobby che li finanziano.

Sarebbe dovuto essere un fenomeno passeggero, una tirata di vento, e invece gli ultimi sondaggi lo danno a più di venti punti di vantaggio dal suo diretto concorrente, quel Jeb Bush che lo stesso Trump ha asfaltato durante uno degli ultimi dibattiti televisivi di “Face the Nation”, spettacolo di attualità molto seguito negli Stati Uniti. 

Per il rampollo della famiglia Bush è stata una Caporetto su tutti i fronti. “Mentre Trump si divertiva in televisione, mio fratello (George Bush junior, ndr) rendeva l’American più sicura”. La risposta di Trump è stata geniale e tagliente: “Ci hanno buttato giù le Torri Gemelle, non direi che l’America fosse così sicura”. In seguito si è lanciato in una netta condanna della guerra all’Iraq, ricordando addirittura quel Colin Powell che al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sventolava la ampolla contenente antrace, che in seguito si rivelerà una bufala clamorosa. “Abbiamo destabilizzato il Medio Oriente, favorito i terroristi. Sapevamo che non avevano armi di distruzione di massa e abbiamo agito comunque: abbiamo devastato tutta quella zona”.

Ora, a noi sembrerà anche scontato, noi che leggiamo i siti internet dei cosiddetti “complottisti” e acquistiamo i libri di Maurizio Blondet e di Giulietto Chiesa, ma mentre qui da noi certe espressioni possiamo sentirle anche dall’avventore medio mentre sorseggia il suo caffè, il mondo politico americano è, viceversa, saldamente trincerato sulla verità ufficiale. Un mantra attorno al quale l’establishment ha cercato di legare a se la popolazione tutta, che ora rischia di saltare, con tutto il suo corollario di dogmi e di verità ufficiali, a causa di questo stronzetto miliardario che può permettersi, vista la sua enorme fortuna finanziaria, di aprire bocca come, dove e quando vuole, nella maniera più diretta, se non addirittura sfrontata, possibile. 

Ora, io non so se Donald Trump sarà l’eccezione all’assoluto predominio del sistema americano sulle elezioni presidenziali e sulla politica americana tutta, ma quel che è certo è che il personaggio, di per se, è una scheggia impazzita, che ha già dimostrato di non essere il solito politico impomatato e diplomatico, attento a soppesare anche una minima parola, bensì di essere impulsivo, sfacciato ed addirittura arrogante, capace di uscite sanamente ignoranti.

Forse non sarà il miglior presidente americano di sempre (anche se per essere peggio di Bush o del guerrafondaio Obama bisognerebbe impegnarsi davvero tanto), ma almeno ci divertiremo a vedere le facce che faranno pennivendoli e politici collusi.

giovedì 25 febbraio 2016

Giulio Regeni: avventato o stupido?



Scusatemi, ma non riesco a commuovermi a comando, anche se si tratta di un italiano ucciso all’estero. Scusatemi, ma la storiella del povero Giulio Regeni non mi strappa nessuna lacrima. No, nemmeno una.

Cerchiamo di ricapitolare e di fare un poco di ordine. In Italia si tende spesso a parlare più con la pancia che con il cervello, ad esaminare più le sensazioni che i fatti. Io voglio esaminare i fatti.

Un ragazzo di 28 anni, collaboratore de Il Manifesto, e che anzi aveva ne “Il Manifesto il mio punto di riferimento” (uno di quelli che augurano ai Fascisti come noi altri la morte un giorno si e l’altro pure, e scusatemi, ma già questo lo rende umanamente distante da me), va in un Paese straniero, l’Egitto, e stringe amicizia con i Fratelli Musulmani, il gruppo terrorista che è stato dichiarato fuorilegge in Egitto ( e in diversi altri paesi), poiché responsabile di aver seminato morte e distruzione nel nome dell’Islam. 

Non mi sembra così scandaloso che le forze di sicurezza interne all’Egitto si siano interessate di uno straniero che è deliberatamente andato a ficcare il naso nei suoi affari interni, accompagnandosi ad elementi a dir poco discutibili. Specialmente se si aggiunge che l’Egitto, come miriadi di altri Paesi, è stato uno di quei paesi che ha faticato non poco a riportare l’ordine al suo interno, a causa di quelle insurrezioni che gli americani, con le loro rivoluzioni di primavera, arancioni e colorate, hanno chiaramente favorito. Al Sisi non sarà probabilmente il miglior Presidente egiziano, probabilmente non verrà candidato come Premio Nobel per la pace, probabilmente non guida una Nazione capofila del rispetto dei diritti umani, ma è anche colui che ha dovuto riportare l’ordine in una Nazione che ha vissuto mesi, se non anni, di ansia e inquietudine. E lo ha fatto anche dando qualche calcio nel culo, se era necessario.

Perché forse i nostri comunistelli italiani lo ignorano, abituati come sono a cianciare inutilmente di pacifismo e a vivere nel loro mondo dorato di apericene antifasciste, estintori tirati in testa ai poliziotti che ti garantiscono una aula del Senato, magistrati amici che ti scarcerano dopo che inneggi alla lotta armata in nome del movimento “No tav”, ma fuori da qui esistono nazioni sovrane che fanno legittimamente i propri interessi, giusti o sbagliati che siano, e i nemici, o coloro che ritengono tali, guarda un po’!, li fanno addirittura fuori.

Nessuno di noi ha la certezza che sia stato Al Sisi o qualcuno appartenente al suo governo, sia ben chiaro. Anche perché sarebbe illogico pensare che i servizi segreti egiziani siano così stupidi da uccidere uno straniero ritenuto una spia e un fiancheggiatore di terroristi e poi permettere il ritrovamento del suo cadavere. Non sappiamo, allo stesso modo, se Regeni sia finito in un gioco più grande di lui, mandato allo sbaraglio in funzione anti-Al Sisi, oppure per le sue velleità di giocare a fare il rivoluzionario.

Se sia stato più ingenuo o più stupido, insomma, non ci è dato sapere. Per adesso.

mercoledì 10 febbraio 2016

Noi non dimentichiamo



Il massacro degli italiani è semplicemente questo: la spietata pulizia etnica che, caduto ogni tentativo di difesa dei civili da parte dei reparti armati della Repubblica Sociale Italiana e delle SS italo-tedesche, i partigiani jugoslavi misero a punto, con la spietata complicità dei partigiani italiani.

Il numero dei morti non è mai stato quantificato; il numero degli esodati, accolti come Fascisti e traditori da un’Italia desiderosa di rifarsi una verginità dopo l’appoggio al fascismo durato per vent’anni, si aggira sui trecentomila.

Abbiamo dovuto attendere più di cinquant’anni perché la battaglia per la memoria non diventasse di parte, perché venisse riconosciuto ufficialmente quello che è catalogabile, senza alcun bisogno di imporre una verità stabilita per legge, come un vero e proprio olocausto ai danni della popolazione italiana di Istria, Fiume e Dalmazia.

Ci sarà tempo per parlare dei miserabili che, oggi come nel ’45, si distinguono per vigliaccheria e crudeltà.

Oggi ribadiamo solo una cosa: noi non dimentichiamo.

sabato 6 febbraio 2016

Onore e Gloria Eterna a Robert Brasillach

Il 6 febbraio 1945 viene fucilato, dagli alleati vincitori, Robert Brasillach. Quali crimini ha commesso? Aver messo a disposizione il suo genio e la sua poesia per la gioventù europea che moriva in Russia, in Italia, in Germania, in Giappone, sotto le insegne littorie e della croce uncinata.
Per stanarlo "i democratici" e "i liberatori" hanno rapito e torturato la madre ottantenne, costringendolo a costituirsi.
Quando il giudice ne sentenzia la morte dalla folla si alzano urla scandalizzate e rabbiose: "E' una vergogna!"

"No, è un Onore", risponde Lui.
Perché "Amore e coraggio non sono soggetti a processo". Onore e Gloria Eterna a Robert Brasillach.