lunedì 30 novembre 2009

Billo, il mio unico grande affetto

Un esempio nobile di amore verso gli animali.
Tratto dal blog del Prof. Pietro Melis
http://pietromelis.blogspot.com

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Sono passati più di otto mesi ma il dolore è sempre lo stesso. Sentii il bisogno di esternarlo sul forum "La zampa" de La Stampa del 7 settembre. Billo, ti amo sempre, sei sempre con me. Non ci sono medicine che mi possano diminuire il dolore. Ciò che scrivo in questo blog è accompagnato sempre dalla tua presenza. Rinuncerei a tutto per te. Continuo a vivere per te, perché tu continui a vivere con me. Nessuno mi può capire. Chi non capisce l'amore che può dare un cane non è degno di vivere. Il mio prossimo libro (IO NON VOLEVO NASCERE. Una vita disperata senza certezze) sarà dedicato a te con la più bella fotografia. Così non sarai vissuto invano.

Dopo sette mesi di terapia domiciliare per insufficienza renale, con due flebo al giorno di 500 cc., mi ha lasciato l'unico grande affetto della mia vita, Billo, che stava per compiere 12 anni: Mi ha lasciato nella notte tra il 3 e il 4 marzo. Lo trovai cucciolo abbandonato nei giardini della Facoltà di Scienze della Formazione (dove insegno). Vi erano tanti studenti, ma Billo, appena mi mi vide, seguì solo me. Fu un amore a prima vista. Non riesco a riprendermi dal dolore.Tutti i bei ricordi vengono sempre sopraffatti e annullati dal ricordo dell'agonia- Ho avuto altri cani ed ogni volta è stata una tragedia. E' fatta male la natura. Un cane a 10 anni diventa anziano mentre una tartaruga può vivere 100 anni. Non si incrementi la speculazione degli allevamenti. Chi può prenda un cane dal canile. Anche anziano, perché possa almeno compensare nella vita rimanente la sofferenza di un'intera vita. Ho letto la storia di Lella. Io non posso sostituire Billo. Oltre al fatto che ho una femmina di 8 anni (Laika), trovata abbandonata e ferita quando poteva avere al massimo un anno. Non voglio soffrire ancora di più dopo Laika. Ho 70 anni e non voglio arrivare alla fine dei miei giorni continuando a soffrire. E un cane giovane, a questo punto, potrebbe sopravvivermi. Non riesco più a uscire di casa con Laika e con la mia compagna. Uscivamo sempre in quattro. Billo non può essere sostituito. Sono entrato in una sorta di semipazzia per salvarmi. Billo è sempre con me. Gli parlo e lo accarezzo. Un medico mi ha detto che ho bisogno di uno psicologo per elaborare il lutto. Ma nessuno psicologo può salvarmi. Billo sta sempre con me. Non credevo che fosse un amore così grande. La mia vita continuerà in uno stato di depressone. Uno come me non doveva nascere. Sono ateo anche perché non posso credere che un dio abbia creato una natura così mal fatta.

venerdì 27 novembre 2009

I crimini di Israele in nome dell'Occidente

È notizia recente che il comandante militare della NATO, l’ammiraglio italiano Giampaolo di Paola, si è recato in Israele per apprendere dall’eroico esercito israeliano nuove tattiche di guerra e di attacco militare per poterle poi utilizzare in Afghanistan.

Viene tristemente da chiedersi: cosa mai può insegnare Israele agli eserciti occidentali, in particolare per la guerra in Afganistan che molti strateghi considerano ormai persa?
Forse come sorvolare impunemente gli spazi aerei dei propri vicini, in particolare quelli della Striscia di Gaza, spingendo gli aeroplani oltre il muro del suono e creando panico e terrore tra la popolazione civile? Forse come imprigionare la popolazione afgana con muri giganteschi, con tanto di torrette di guardia e soldati armati? Forse come effettuare un embargo totale nei confronti dei civili, in modo da impedire l’entrata di qualunque medicinale, della benzina, dei pezzi di ricambio per le automobili? Forse come fare il tiro a segno con donne e bambini? Forse come radere al suolo le abitazioni dei nativi afgani? Forse come sparare addosso ai contadini che hanno il solo torto di recarsi nei loro campi?

Ironia a parte, il fatto che uno dei più importanti esponenti della NATO si rechi in Israele a prendere lezioni di guerra da uno Stato che sta sterminando una intera popolazione e ne minaccia continuamente altre di ugual fine, proprio nel momento in cui l’entità sionista è sotto accusa per i crimini di guerra che ha inequivocabilmente commesso a Gaza dicembre-gennaio, dimostra che l’Europa non ha alcuna seria intenzione di portare Israele davanti ad una commissione per crimini di guerra. Anzi, vuole imparare addirittura come si fa. La formidabile campagna di intimidazione e “prevenzione” della innominabile lobby sta avendo il suo successo: il rapporto Goldstone verrà affossato molto presto.

C’è un altro dato che ce lo conferma. Israele invierà una sua nave da guerra nel mediterraneo orientale per partecipare alla missione “Active Endeavor” della NATO, che dovrebbe prevenire la pirateria internazionale ed eventuali attività terroristiche.

Insomma: mentre fino ad adesso la bellicosità israeliana era comunque nel nome di Israele, ora la sua arroganza e i suoi crimini saranno condotti nel nome della NATO, della democrazia e della civiltà occidentale. E noi a pensare al Tribunale Internazionale per i crimini di guerra...

giovedì 26 novembre 2009

Anche l'Alcoa spreme e se ne va


La protesta dei lavoratori dell’Alcoa si sposta dalla Sardegna a Roma. Ci sono tutti, incluso Cappellacci. L’obiettivo è essenzialmente uno: impedire che i circa 400 operai della Alcoa, la multinazionale dell’alluminio, vengano messi in mezzo alla strada a causa della decisione del colosso americano di licenziare 2000 lavoratori tra Sardegna e Veneto. Dopo aver goduto di un particolare regime tariffario per l’energia elettrica – che è stato pagato con le bollette di tutti noi (incluso un sovvenzionamento statale dal 2006 al 2009 che è stato ritenuto “aiuto di Stato” dall’Unione Europea, e per il quale è stata aperta nei confronti del nostro Paese una procedura di infrazione) – fa le valigie e torna a casa.

Il limone è spremuto. Tutti i soldi finiscono oltreoceano, in Pennsylvania, dove il colosso ha la sua sede.

Terra di conquista, come nel far west. Un importante polo industriale del Sulcis, e della Sardegna tutta, rischia di chiudere. E con lui un pezzo di territorio importante. Con buona pace dei lavoratori sardi, dei sovvenzionamenti di Stato e dell’Italia. E’ il mercato, bellezza.

Climategate: il motivo è sempre quello

Potrebbe essere uno dei più grandi scandali degli ultimi dieci anni. Non a caso, infatti, è stato ribattezzato “Climategate” dalla stampa internazionale. E anche due testate italiane – il Corriere della Sera e Il Foglio di Giuliano Ferrara – ne hanno dato notizia. Per una volta tanto una parte della stampa italiana sembra aver fatto informazione.


Partiamo dall’inizio. Il Centro Ricerche per il Clima (denominato CRU) dell’Università dell’East Anglia, in Inghilterra, è un centro che non dirà granché ai più, ma è nondimeno molto importante. Perché questo centro di ricerche è uno degli interlocutori prediletti di un altro organismo internazionale, più grande e più importante, che è il IPCC: l’Intergovernmental Panel on Climate Change. Questo ente è l’organizzazione che, per conto delle Nazioni Unite, si occupa di monitorare l’emergenza climatica che – si suppone – sta vivendo il nostro pianeta. Insomma: è dal IPCC che partono gli allarmi ai governi perché provvedano ad operare efficaci e veloci risposte contro il surriscaldamento globale, la perdita di biodiversità, la deforestazione, l’effetto serra, e via dicendo. È lui che fornisce le informazioni e gli strumenti scientifici e tecnologici grazie ai quali le Nazioni Unite si muovono per concertare (o per imporre?) con i vari Stati politiche che vengono descritte come volte alla salvaguardia del pianeta e dell’ambiente. Un organismo che è considerato imparziale e attendibile da analisti internazionali, governi, scienziati, studiosi e politici.


Il CRU, dicevamo, è un interlocutore qualificato di tale organismo. Ma che è successo? Alcuni pirati informatici sono riusciti ad entrare nel sistema informatico dell’Università, e a trafugare migliaia e migliaia di lettere di posta elettronica, con allegati documenti, tabelle, grafici, che gli scienziati si sono scambiati in anni ed anni di lavoro e di ricerche (dal ’96 in poi).


Il contenuto di questa gigantesca documentazione è a dir poco scioccante, e dimostrerebbe come, almeno nell’ultimo decennio, tantissimi scienziati si siano messi d’accordo tra di loro non solo per operare un vero e proprio filtro delle informazioni, censurando quelle che contraddicevano la teoria del “global warming”, il surriscaldamento globale; ma, addirittura, gli studiosi sarebbero intervenuti pesantemente sui dati statistici, sulle conclusioni e sui dati delle ricerche, manipolandoli in modo da poter giustificare, dati alla mano, l’emergenza ambientale del pianeta.


Tra i documenti che sono stati rubati, inoltre, ci sarebbero (il condizionale è d’obbligo, in attesa di ulteriori notizie della vicenda) dei codici di rilevamento climatico, denominati “Hadcrut 3” e “Crutem 3”, che, unendo tra loro tantissimi dati climatici presi dalle più diverse località del mondo, vengono corretti e normalizzati in una griglia, che viene poi studiata ed esaminata dagli esperti, e che può dare significative informazioni relative alla situazione climatica e ambientale mondiale. Gli scienziati dell’Università dell’East Anglia sarebbero intervenuti anche qui, falsificando e manipolando i dati per avere una documentazione coerente con i proclami allarmistici sul global warming. Il tutto condito da un fitto passaparola tra gli scienziati, che si mettono d’accordo sui materiali da censurare, quelli da cancellare, sui dati da modificare, e via dicendo. Tutti i dati che smentiscono l’ideologia ambientalistica sarebbero stati modificati, cancellati o più semplicemente secretati. Il tutto con la complicità di scienziati e illustri studiosi.


Scopriamo che la scienza e gli scienziati, che nella nostra società siamo stati abituati a pensare obbiettivi e super-partes per definizione, sono in grado di dire menzogne e falsità. Pensarle, progettarle, crearle.


Vale la pena ricordarlo, ma è proprio con le carte di questi scienziati che i vari Obama, Al Gore, Gordon Brown si presentano alle telecamere per parlare di emergenza ambientale, di global warming, di protocolli di salvaguardia ambientale (come quello di Kyoto, che gli Stati Uniti hanno disatteso per primi), di organismi sopranazionali che regolino la delicata e complessa questione. E una parte di questi scienziati – sembra lo si possa dire con una certa sicurezza – sono stati pagati per creare delle informazioni da vendere poi ai governi. Informazioni ed allarmi grazie ai quali si inventano quotidianamente nuovi balzelli con i quali tassare l’europeo popolo-bue; una scienza pagata e corrotta, che ha indotto tutti i governi in errore, spingendoli a chiedere e a creare enti mondiali che, bypassando la sovranità nazionale dei singoli Stati, imponessero nuove tasse anti-inquinamento, nuove regolamentazioni, nuovi organismi di supervisione e di controllo.


Possiamo sperare che questo grave avvenimento venga messo sul tavolo al convegno mondiale che si terrà a dicembre, proprio per discutere sul clima? Oppure vedremo il solito Obama che tenta di imporre (agli altri, mica alla famelica e vorace America) nuove tasse e nuovi regolamenti per le imprese europee, in modo da dar loro il definitivo colpo di pistola alla tempia? Perché loro non si riuniscono per rivedere il sistema economico esistente, quello che a noi comuni mortali ci sta uccidendo tutti; non si riuniscono per imporre una regolamentazione alle banche e alle grandi società multinazionali, che ci hanno trascinato nel vortice di una crisi economica e di una recessione mondiale. No. Loro si riuniscono per il clima. Clima e sanità: sono i nuovi mantra del dominio globale.


Il cerchio si chiude sempre. Il motivo è sempre quello: la creazione di un governo mondiale che, vuoi per l’economia, vuoi per l’influenza, vuoi per l’allarme ambientale, decide sulla pelle di tutti noi. È sempre il Novus Ordo Seclorum, quello stampato nelle banconote da un dollaro, quello che la Massoneria pensa e attua da secoli, il grande mostro che si profila all’orizzonte. Il nemico, l’idra massonica, cambia pelle. Ma non i metodi, né gli obiettivi.

venerdì 20 novembre 2009

Di cosa si preoccupa Battisti?

In tutta franchezza non riesco proprio a capire, nella vicenda del terrorista e assassino Cesare Battisti, cosa abbia da disperarsi lui e cosa abbia da gioire lo Stato Italiano. Che, come al solito, rischia di fare i conti senza l’oste e di ritrovarsi con un bel pugno di mosche in mano.
Non è affatto detto, infatti, che Battisti (che non ha mai mostrato di avere il minimo pentimento per la scia di sangue che si è lasciato alle spalle) sconterà la sua pena in Italia. E, ammesso e non concessa che da Brasilia parta il “si” all’estradizione, sappiamo bene come i brigatisti rossi scontano la pena nel nostro Paese.


Checché se ne dica, il Brasile sta facendo di tutto per far si che Battisti rimanga dove è, a rilasciare interviste e scrivere romanzi. Gode di protezioni eccellenti, tra le quali anche quelle di ministri e importanti esponenti politici brasiliani. Ma non solo: attori, scrittori, uomini di spettacolo, “intellettuali”. Quando gli assassini uccidono in nome del comunismo c’è sempre chi li sostiene. Soprattutto tra elites.


Come abbiamo potuto vedere, la giustizia e le leggi sono particolarmente elastiche, non solo qua da noi. Se un operaio tocca il sedere ad una bella gnocca è violenza sessuale; ma se Polanski sodomizza una tredicenne è un peccato di gioventù, che non deve pagare. Se quelli di Fascismo e Libertà mettono dei volantini è un “atto di violenza”; ma se i rossi uccidono in nome dell’antifascismo e della lotta allo Stato sono degli eroi, al massimo “compagni che sbagliano”. Se finiscono in carcere gli “uomini d’onore” si parla di persecuzione giudiziaria; se invece ci finisce un Cucchi qualsiasi – uno di noi comuni mortali, colpevole solo di volersi fumare qualche spinello con gli amici – può farsi tranquillamente il segno della croce, in quanto c’è molta probabilità di finire a fare il sacco da boxe delle guardie carcerarie.


Battisti è ancora un eroe, per molta intellighenzia rossa. State certi che se si fosse trattato di un uomo qualunque l’estradizione sarebbe arrivata, e in fretta. Le pressioni su Lula, che deve decidere della sorte del compagno che ha sbagliato, sono fortissime; in prima fila c’è il Ministro della Giustizia verde-oro. E’ ridicolo però che per garantire l’impunità al farabutto brigatista tirino fuori la parola magica: diritti umani. Che Battisti rischierebbe di non vedersi concedere in Italia. Se non fossimo italiani ci sarebbe da piangere. Perché il nostro Paese è conosciuto in tutto il mondo per essere il Paese dei balocchi dei criminali. Da questo punto di vista Battisti non ha molto di cui preoccuparsi: come abbiamo sperimentato sulla nostra pelle, sappiamo bene come vengono intesi i diritti umani degli assassini comunisti. Male che gli vada diventerà editorialista di qualche giornale (Panorama, l’Espresso, l’Unità, Repubblica); potrebbero anche dargli qualche trasmissione da condurre in veste di opinionista e presentatore; e poi le occasioni per apparire non mancheranno: potrà accreditarsi come fine intellettuale a “Porta a Porta”, Matrix; tenere rubriche e interviste su tutta la carta stampata e i media; presenziare convegni; scrivere libri… Anzi: vedrete che a breve qualcuno chiederà anche la grazia al Capo dello Stato (comunista anche lui).


“Diritti umani”, insomma, è un po’ come “antisemitismo”: una vaga e generalissima espressione, estendibile o circoscrivibile a seconda delle circostanze di tempo, di modo e di luogo. Benvenuti in democrazia.

mercoledì 18 novembre 2009

Nolte a Trieste, una piccola vittoria per il revisionismo

Ben pochi hanno parlato del convegno del 9 novembre scorso che si è tenuto a Trieste e che ha visto come ospite d’eccezione Ernst Nolte. Io credo che non sia un caso. Perché – andando a memoria è forse la prima volta – non capita spesso che in Italia un revisionista riesce a concludere il suo intervento.

Il caso limite è quello del Professor Faurisson, aggredito fisicamente ad una conferenza che si svolse a Teramo qualche tempo fa e che rischiò letteralmente la vita, diversi anni più addietro ancora, a causa di un crudele pestaggio di tre attivisti ebrei della LICRA (la cui posizione venne archiviata) che furono fortunosamente messi in allarme dall’intervento di un passante (il quale in seguito, con grande senso di umanità, affermerà che se avesse saputo prima chi era la vittima del pestaggio si sarebbe ben guardato dall’intervenire).

Certo, anche nel caso di Ernst Nolte abbiamo visto all’opera quell’esercito di burattini sempre pronti a parlare in nome della libertà e della democrazia, ma solo ed esclusivamente di chi la pensa come loro. Le polemiche sui giornali, le richieste (bipartisan) a gran voce di impedire l’intervento di Nolte, le manifestazioni intimidatorie dei soliti gruppi “democratici”, sono tutti elementi che non sono mancati neanche questa volta.


Tuttavia, cosa incredibile, gli attivisti anti-revisionisti erano, a quanto riportano i giornali, non più di una cinquantina. Già questo è un dato importante. Sono entrati nella sala dove si svolgeva la conferenza, in quel momento parlava proprio Nolte, e hanno gridato i loro soliti slogans. Cosa incredibile, i presenti non si sono fatti intimidire, e hanno risposto al grido di “Libertà!” E Nolte ha potuto concludere tranquillamente il suo intervento, riuscendo poi lasciare la sala tutto intero e in sicurezza.


Forse è proprio per questo che i nostri media si sono rifiutati di darcene informazione. Era molto comodo, quando ai revisionisti veniva fatta la pelle, cantare le prodi gesta dei difensori della libertà comunisti e anti-revisionisti, che riuscivano a portare in piazza centinaia di persone, tutte desiderose di mazziare il cattivo revisionista.


Ora gli eserciti si riducono – non senza qualche volontaria e decisa defezione – e i revisionisti riescono anche ad andarsene sulle loro gambe.

lunedì 16 novembre 2009

La Sardegna si fa laboratorio: nasce Fase 1

Il progetto appena partito all’ospedale Brotzu di Cagliari, Fase 1, è il primo di tutta una serie di interventi che dovranno riguardare in futuro tutto lo Stivale.

L’iniziativa è stata pensata e messa in pratica dal precedente Presidente della Regione Sardegna, Renato Soru (che La Spisa, presentando il progetto a Roma, ha pubblicamente ringraziato), e sta venendo portata avanti dall’attuale esecutivo.

In questa nuova struttura di sperimentazione, che collabora con il Ministero della Sanità e l’Agenzia Italiana del farmaco, è prevista la sperimentazione di farmaci (non più di tre o quattro ogni anno) di ricercatori che difficilmente troverebbero modo di portare avanti i loro progetti in altre strutture; ciò anche avvalendosi di cavie umane che si sottoporranno volontariamente alla sperimentazione, dietro un compenso che non dovrebbe superare i tremila euro. Partirà, a breve, una vera e propria campagna di reclutamento di volontari; attualmente sono un centinaio, ma ne serviranno almeno il triplo. A questi volontari si affiancheranno anche i pazienti dell’Oncologico, che sperimenteranno nuovi farmaci contro i tumori.

Questo progetto, è importante dirlo, non dovrebbe avere come obiettivo quello di fare cassa: tutti i soldi dei finanziamenti (circa 4 milioni di euro ogni anno) verranno continuamente reinvestiti nella ricerca.

Si tratta di un progetto importante, che a parere del sottoscritto non apre solo nuove opportunità economiche all’isola, ma è anche un importante passo avanti verso una cultura medica dove la sperimentazione e la ricerca non vengano fatti solo sulla pelle degli animali.

sabato 14 novembre 2009

A volte ritornano (purtroppo)


Ricordate le vicende di M’arrizzo? Avevamo lasciato il nostro in un convento, a ritrovare la pace interiore. Molto interiore. E’ notizia recente che entro il 2010 lo rivedremo in televisione. Ma non nei panni del Presidente della Regione che un giorno ci vuole guardare dritto negli occhi e il giorno dopo va a trans; lo vedremo come giornalista.

Il regime, di riffa o di raffa, non ti abbandona mai. Anche quando vieni trombato a pantaloni calati, mentre ti fai una striscia davanti ad un pagliaccio disgustoso, trova sempre il modo di riciclarti.

Tempo sei mesi e ce lo vedremo in uno di quei giornali tristissimi, tipo Famiglia Cristiana oppure Vanity Fair, con un titolone del genere: “Adesso parlo io”. Magari una bella paginona dove il M’arrizzo posa con tutta la sua bella famigliola, in stile cattolicissimo (è o non è il giovincello cresciuto giocando a pallone nell’oratorio?), come i giocatori della Champions League. A lato una mini-inchiesta: “Così in convento ho imparato a fare le crostate di Frate Gastolfo”. Giri pagina e te lo vedi col cappellino da chef, il crocifisso bello e imponente in primo piano, mentre tutto intento lotta accanitamente con delle bietole: “Sono un uomo ritrovato”, “Ho sconfitto i fantasmi del passato”.

Logica vorrebbe che un personaggio così dica solennemente: “Ho dimostrato di non essere una persona coerente con quello che ho sempre predicato. Lascio la politica e le luci della ribalta”. E invece no. Preparano il suo ritorno, in grande stile. Pensavamo che la politica si fosse liberata di almeno uno di quei personaggi arroganti, che pretendono di “guardarci dritti negli occhi”. Loro, a noi. Noi, che non siamo Presidenti della Regione; noi, che non abbiamo le auto blu per andare a trans, ma semmai ci andiamo con la nostra e rischiamo pure la multa; noi, che con 5000 euro riusciamo a camparci anche sei mesi. Non sarebbe stata una grande vittoria a causa delle centinaia e centinaia di lacché e buffoni che popolano la politica italiana. Ma almeno uno… ci saremmo tolti la soddisfazione.

venerdì 13 novembre 2009

Inno all'odio (contro i goym)

Se dicessi un nome, Yitzhak Shapiro, vi direbbe qualcosa? Probabilmente no. Ma è un nome particolarmente importante, che ci da’ l’idea del modo in cui i rabbini fanatici di Israele vedono noi goym, questi animali parlanti che hanno il coraggio di protestare pubblicamente per il genocidio che è tuttora in corso a Gaza. Sono pochi, i goym ribelli, ma ci sono, noi per primi.

Yitzhak Shapiro è, in Israele, un personaggio che conta. E’ il direttore di una importante Yeshiva (le yeshiva sono versioni ebraiche delle nostre università), la Od Chai. Ha scritto un libro, che è stato pubblicato qualche giorno fa, che si intitola “The King Torah”. In questo testo, ripreso con enfasi da tanti media, sono contenute delle parole e delle espressioni che qui, in Europa, garantirebbero una incriminazione per incitazione all’odio razziale e allo sterminio per chiunque. Ma siccome – come abbiamo scritto anche recentemente – l’arroganza e supponenza di taluni gruppi sembra proprio non conoscere alcun limite, in Europa si tace – con la complicità di mass media e politici asserviti agli innominabili poteri – di questo vero e proprio inno all’odio e allo sterminio. Contro chi? Ma contro i gentili, i goym, i non ebrei, naturalmente!

Il fanatico rabbino ha candidamente affermato che anche donne e bambini possono essere sterminati se costituiscono un pericolo per Israele e per il popolo ebraico. Riportiamo alcuni passi che da soli possono darci l’idea di quanto odio e di quanta violenza sia contenuta in questo libro:

“E’ permesso uccidere i Giusti tra le Nazioni anche se non sono responsabili della situazione di minaccia”.

“Se noi uccidiamo un Gentile che ha peccato o ha violato uno dei sette comandamenti – poiché noi abbiamo a cuore i comandamenti – non c’è niente di sbagliato nella sua uccisione”.


Si dirà: esternazioni di un pazzo fanatico, che non ha alcun sostegno nella società israeliana. Niente di più sbagliato. Non solo perché Shapiro è un rabbino importante e affermato in Israele; ma anche perché il rabbino Yithak Ginzburg e il rabbino Yaakov Yosef, altri importanti esponenti religiosi israeliani, nei loro sermoni giornalieri hanno caldamente raccomandato la lettura del libro ai loro studenti. “The King Torah” trova adesioni, consensi, entusiastiche recensioni. Istiga chiaramente all’uccisione e allo sterminio di tutti i goym che costituiscono o sono ritenuti un pericolo per lo Stato Sionista.

Per capire la gravità della situazione, fate sempre lo stesso giochetto. Immaginate che un libro che esplicitamente istiga all’omicidio di una qualunque etnia o di un qualunque gruppo sociale venga pubblicato qui da noi, in Italia. Che cosa accadrebbe? L’editore e l’autore verrebbero immediatamente incriminati per istigazione alla violenza razziale e incitamento alla strage mediante la legge Mancino, le leggi del Codice Penale e magari anche la Costituzione. Verrebbero espulsi dal consesso degli uomini civili. Si griderebbe all’allarme sociale e al ritorno di una nuova ondata di violenza, magari xenofoba e Fascista. Rischierebbero, probabilmente, anche la pelle.

Dite che in Italia certe cose non possono accadere? Avete ragione. Allora facciamo un altro esempio. Supponiamo che in Iran un importante mullah pubblichi un libro in cui istiga alla guerra santa, la jihad; e affermi che, in nome di questa guerra santa, tutti gli infedeli e tutti coloro che, a torto o a ragione, sono considerati un pericolo per l’Islam e i suoi seguaci, debbano essere sterminati senza alcuna pietà, neanche per i bambini, i neonati e le donne. Vi immaginate la scena? Frattini griderebbe allo scandalo; la lobby sionista invocherebbe a gran voce un bel grappolo di bombe atomiche da sganciare su Teheran, tanto per ridurli a più miti consigli. Ci martellerebbero su tutti i canali e su tutti i giornali sul pericolo islamico che ritorna, sulla necessità di vigilare contro l’antisemitismo (che in questi casi ci sta sempre bene)…

Invece accendete la vostra TV: le notizie sono tante e brevi, magari la maggior parte sono anche idiote (la lite di Clooney con la Canalis, qualche cialtronata del Grande Fratello), ma non c’è nessuno che parla di Yitzhak Shapiro. Tutti possono diventare protagonisti in negativo (Caracciolo, il gestore di Thule Toscana, il MFL) per riempire approfondimenti, notiziari e salotti TV, ma non lui. Nelle redazioni sanno molto bene quello che devono dire e quello che non devono dire, quello di cui possono parlare e quello che invece non possono neanche lontanamente nominare.

La questione è seria. Perché questi qui, che si ergono a difensori della pace e vogliono incenerire l’Iran per il suo programma sul nucleare civile, hanno più di 300 bombe atomiche. Qualcuna di queste ce l’abbiamo puntata sulla testa. Altre sono puntate sull’Iran. E nel mentre si allenano al tiro al bersaglio con i palestinesi.

Del resto non fu proprio un gruppo di rabbini ad emanare un editto, mentre si compiva la carneficina di Piombo Fuso, che permetteva ai soldati di uccidere indiscriminatamente anche i civili?

Che cosa deve succedere perché si cominci a parlare pubblicamente degli insegnamenti che vengono impartiti in Israele ai bambini ebrei, e più in generale dell'ideologia di odio che è sottintesa al sionismo? Perché l’ONU – magari quella commissione contro l’odio e i pensieri violenti che vogliono orwellianamente creare – indaghi sui libri di testo che vengono usati nelle yeshiva per indottrinare i piccoli ebrei? Aspettiamo forse che uno di quei missili che sono puntati su ogni capitale europea – come disse minacciosamente Moshe Dayan – ci piova sulla testa? Aspettiamo forse di essere messi anche noi dentro un recinto per fare da bersaglio al glorioso Tsahal?

lunedì 9 novembre 2009

Ma come sono Pacifici

Se il protagonista del gesto (dal sapore vagamente mafioso) di cui si parlerà a breve fosse stato un islamico, oppure un cristiano, sarebbe successo quanto meno un finimondo. Avremmo avuto gli speciali di Bruno Vespa, i servizi del Tg2, lunghissimi cortei che avrebbero invaso le nostre città per combattere contro il razzismo.

Se questo gesto avesse visto il suo autore come vittima, Riccardo Pacifici ci avrebbe messo in guardia dall’ “antisemitismo che ritorna”; l’Anti Defamation League avrebbe declassato l’Italia al rango di Nazione più antisemita di tutta Europa, in degna compagnia di Iran e Siria; qualche portavoce ONU avrebbe richiamato l’Italia a rispettare “i diritti umani e le più elementari forme di democrazia”, costantemente in pericolo nel nostro Paese.

Ma siccome questo atto di pura arroganza è stato compiuto da uno di coloro che appartengono alle eterne vittime, le uniche che hanno unilateralmente il primato della sofferenza e del martirio, allora si tace democraticamente.

Succede che a Cittanova c’è un incontro sull’Olocausto (l’unico, quello vero, l’originale che non si può più studiare perché “E’ avvenuto e basta”). Gli ospiti sono Riccardo Pacifici, rabbino capo di Roma, e Antonio Sorrenti, Presidente del Centro Studi sulla Shoa. Sono ospiti illustri, pertanto c’è grande attesa, grande interesse, c’è anche la stampa nazionale. L’incontro comincia, tutti i convitati cercano di prendere posto e prepararsi a seguire il convegno; si accendono le telecamere. Ma Sorrenti non può cominciare. C’è qualcosa che urta la sua delicata sensibilità. Più precisamente c’è una ragazza, lì tra gli ascoltatori, che sta compiendo un gesto esecrabile, un qualcosa di abominevole e profondamente antidemocratico che colpisce acutamente l’animo dell’illustre studioso. Che cosa mai starà facendo questa ragazza? Non starà mica sventolando una svastica? Si starà esibendo in qualche saluto nazista? No, no... E allora? Starà divulgando qualche libro di Irving o di Faurisson? Qualche pezzo di carta terrorista che infanga la memoria eletta? No, no… è qualcosa di molto peggio. Questa ragazza indossa una kefiah, il tipico fazzoletto palestinese che anche in Occidente tante persone indossano come elemento simbolico per dimostrare la propria vicinanza al popolo palestinese. Se questa ragazza indossa la kefiah non si può proprio continuare. “Se la tolga, io non posso assolutamente vederlo”, sentenzia il professore. C’è un attimo di sbandamento. Qualcuno, probabilmente un pericoloso antisemita, si chiede come un fazzoletto possa dare fastidio. Qualcun altro, un pericoloso terrorista sul quale probabilmente si stanno concentrando le Digos di tutta Italia, osa addirittura andare oltre con queste frasi blasfeme: “Cosa direste se qualcuno vi chiedesse di togliere la menorah dal banco dei relatori?” La menorah è il candelabro con sette braccia, tipico simbolo della religione ebraica. Morale della favola: la ragazza è costretta a togliersi la kefiah per non sollecitare ulteriormente il delicato animo di Sorrenti. Finalmente, rimosso il pericoloso simbolo antisemita, il convegno può incominciare in tutta tranquillità. Antisemiti permettendo, ovviamente. L’incontro si conclude. A suggellare il grande esempio di democrazia che è stato impartito il giorno, il rabbino riceve anche una pergamena a nome di tutto l’Istituto Scolastico: “Possa questa occasione essere l’inizio di un dialogo caratterizzato dal rispetto reciproco”. Come taluni intendono il dialogo, del resto, è stato ampiamente dimostrato.

Ma lo strascico di questa polemica rimane. Qualcuno vuole sapere dalla viva voce di Sorrenti quale oltraggio ci possa mai essere nell’indossare una kefiah. E il nostro ci regala una perla che resterà negli annali del calcio: “Non posso assolutamente vedere quel simbolo. Che volete? Ho anch’io le mie debolezze, come Marrazzo”. L’andare a trans, per Sorrenti, è uguale ad impedire ad una cittadina italiana che gode di pieni diritti di vestirsi come meglio crede, esercitando le sue legittime prerogative democratiche e di espressione del pensiero.

Ma provate, solo per un attimo, ad invertire le parti. Immaginate che ad un convegno, di qualunque natura (politica, culturale, economica), uno dei relatori si rifiuti di incominciare il suo intervento se prima uno degli ascoltatori non si togliesse la propria kippà. Che cosa accadrebbe? Potete immaginarvelo facilmente: ritorna l’antisemitismo! Una nuova ondata di razzismo! La democrazia è in pericolo! Si muoverebbe l’ONU, Frattini sarebbe in “prima linea”, Di Segni terrebbe un discorso in TV a reti unificate per metterci in guardia dalla terrificante minaccia.

Invece se a subire il sopruso è una persona che indossa una kefiah tutto tace; non si sente l’esigenza di urlare allo scandalo; Repubblica non lancia nessun allarme “democrazia in pericolo”.

Del resto, come intendano la democrazia certi “signori” l’abbiamo ampiamente capito. Ora i sacerdoti della religione olocaustica hanno fatto un importante passo avanti: non solo si perseguita chiunque osi anche solo dubitare del dogma olocaustico ufficiale; non solo si zittisce qualunque voce critica su Israele con le solite infamanti accuse; non solo si intimidiscono giornalisti, liberi pensatori, docenti o semplici cittadini con campagne di diffamazione e di intimidazione violente e ben orchestrate. Ora si è fatto un passo in più: il meccanismo di repressione e di intimidazione è talmente collaudato e ben oliato che anche il semplice indossare una kefiah non può essere tollerato. Non lo sopporto, dice Sorrenti, anche io ho i miei vizi allo stesso modo di Marrazzo. Ma tra andare a trans e impedire ad una cittadina italiana di vestirsi come meglio crede, vietandole i diritti garantiti di una Costituzione della quale ci si riempie spesso e volentieri a sproposito la bocca, c’è una differenza abissale. Ma nessuno sembra voler coglierla. Contro i personaggi che contano Repubblica non lancia i suoi strali mediatici e le sue campagne di diffamazione e di calunnia.

Aspettiamoci, a breve, delle leggi che oltre a depenalizzare l’andare a travestiti ci impediscano anche di mettere una kefiah.

Povero Sorrenti. Non possiamo neanche lontanamente immaginare quale e quanta sofferenza deve aver provato. Quella kefiah gli avrà forse ricordato le centinaia di migliaia di palestinesi massacrati dall’esercito sionista? Oppure i quasi 5 milioni che hanno dovuto abbandonare forzatamente le proprie case? Oppure i 1400 morti dell’ultima operazione di Israele, Piombo Fuso? O forse avrà pensato a qualche pericoloso palestinese scampato all’opera di intervento umanitario che Israele persegue così generosamente a Gaza? Non lo possiamo assolutamente sapere. Certe sofferenze sono così atroci e così difficili da sopportare che chi non le prova non può capire.

domenica 8 novembre 2009

Quanti ancora devono morire?

Prima i soldi c’erano; poi non c’erano più. Poi erano tornati. Adesso i 500 milioni che servirebbero per fare la Sassari-Olbia, la strada che ogni anno provoca caterve di morti, sono spariti di nuovo.

Non compaiono infatti nel documento di programmazione del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica).

Sembra proprio che la storia di una autostrada, la cui realizzazione sarebbe importantissima per lo sviluppo della Sardegna, sia emblematica della sorte di quest’Isola. Perennemente in bilico tra le eccessive dimenticanze di un Governo per il quale intervento strutturale significa quasi esclusivamente “Ponte sullo Stretto”, e un governo regionale troppo occupato da un lato a gettare acqua sul fuoco e dall’altro a non scontentare il capo che siede a Roma.

mercoledì 4 novembre 2009

La strage dei cammelli che nessuno vuole

In un Paese che calpesta impunemente le vite dei palestinesi, chiedere che vangano rispettati gli esseri non umani è pura utopia. Ecco che fine fanno, in Israele, quei dolcissimi e teneri animali che sono i cammelli.
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GERUSALEMME – Le navi del deserto sono vascelli fantasma. Centinaia di cammelli. Abbandonati. Arrivano dall’Africa carichi d’armi, di droga, di sigarette, guidati dagli spalloni. Servono a contrabbandare lungo le carovaniere che risalgono dal Sudan, dal Sinai. Portano merci proibite nelle oasi beduine, o all’ingresso dei tunnel per Gaza. Scaricano i loro tesori. E poi vengono lasciati al loro destino. A cercare acqua e cibo. A vagare per le spianate del Negev, le sabbie desertiche di Paran, le dune rocciose di Agur. A vagabondare lungo il confine tra l’Egitto e Israele, 266 chilometri. Camminando senza meta. Ruminando sperduti. Resistendo allo stato brado per settimane, mesi. Finché non s’imbattono in qualche guardia di frontiera. Che ha l’ordine di bloccarli. Di legarli per le zampe. E d’abbatterli sul posto.
LA PROTESTA ANIMALISTA - Si uccidono così anche i cammelli. E i dromedari. In uno degli angoli più pattugliati del Medio Oriente, dove la caccia è soprattutto al clandestino o al terrorista, dov’è facile morire per gli uomini e figurarsi se preoccupano gli animali, da anni si consuma una strage silenziosa. Trecento cammelli ammazzati nell’ultimo anno, denunciano gli ambientalisti di «Let the Animals Live». Il ministero dell’Agricoltura israeliano dice che non si può far altrimenti: «Il problema principale è tutelare la salute pubblica. Queste bestie entrano dall’Egitto, ma non sappiamo esattamente da dove vengano. Non hanno marchio. Spesso portano infezioni come la febbre della Rift Valley, pericolosa anche per l’uomo, perché provoca cecità e in certi casi è mortale. Impossibile fare prevenzione, in un’area tanto vasta. Ed è un problema anche restituirle agli egiziani, raccomandando di tenerle sotto custodia: al Cairo prendono la faccenda come un atto di sfiducia nel loro servizio veterinario. L’esercito israeliano non ha l’ordine d’ucciderle, però a volte è l’unica scelta possibile».
«STRAGE SENZA SENSO» - E’ più facile che un cammello passi per la cruna d’un ago, piuttosto che entri nel territorio d’Israele. Ma tanta severità indigna gli ecologisti: «Da secoli – dice Etti Altman, che sulla questione ha presentato un dossier a Gerusalemme -, migliaia di cammelli sono transitati per quei deserti. E nessuno ha mai lanciato allarmi d’infezioni gravi. I beduini li usano da sempre. Questa strage è senza senso e nasconde ben altri obbiettivi. Primo fra tutti, quello di colpire i contrabbandieri d’armi e i traffici verso Gaza». Le proteste sono numerose, le richieste altrettante. Alcune drastiche: come la proposta di costruire una barriera di filo spinato lungo il confine, «perlomeno in corrispondenza delle oasi e delle aree verdi, le cose che più attraggono i cammelli». C’è anche chi vorrebbe fossero istituiti centri di quarantena, gestiti in cooperazione tra Israele ed Egitto, dove tenere gli animali in osservazione prima di riportarli in altre zone lontane dal confine.
GOVERNI ASSENTI - Né il governo Netanyahu, però, né Mubarak hanno voglia di spendere soldi in questo progetto. E soprattutto lo considerano inutile: «Nella maggior parte dei casi – rispondono dal ministero dell’Agricoltura israeliano -, i sintomi delle malattie dei cammelli non sono visibili. Puoi tenerli in quarantena quanto vuoi, e puoi stare certo che le infezioni si propagano ugualmente». Anche l’Egitto s’è mostrato indifferente alla questione: il cammello non è considerato un esemplare da proteggere, non è aggressivo, e non importa molto che ve ne siano migliaia senza padrone. La settimana scorsa, i militari israeliani hanno catturato una piccola mandria. Per una volta, hanno provato a riportarli oltreconfine: poche ore dopo, erano già ritornati sulle loro orme.

martedì 3 novembre 2009

L'intervista più bella del mondo

Quella che vi presento in questo articolo è un’intervista che mi riempie di soddisfazione, non tanto per le cose in essa contenute, ma per la sua genesi e realizzazione; chi avrà la fortuna di visitare dal 31 ottobre al 4 novembre questo link: http://www.rivistaonline.com/Rivista/ArticoliPrimoPiano.aspx?id=6063 la potrà vedere direttamente ospitata sul sito della rivista online che l’ha pubblicata… Ma gli altri non temano, perché la troveranno inserita in fondo a questo articolo, nonché rappresentata fotograficamente nella stessa veste in cui è uscita online.

Qualcuno comincerà a chiedersi che cosa si celi dietro questa strana intervista e perché la sua pubblicazione online è stata limitata a soli 5 giorni, ed io, per soddisfare la sete di conoscenza dei miei (pochi) lettori, mi accingo ad informavi a proposito di questa strana e, per certi versi, squallida storia di giornalismo comunista.

Nel lontano 2005, cercando casualmente sul motore di ricerca Google qualcosa che riguardasse la mia persona, mi imbattei in una “intervista a Carlo Gariglio”, rilasciata ad un giornalista che non avevo mai sentito nominare e pubblicata su una rivista online a me sconosciuta… Preso dalla curiosità mi precipitai ad esaminarla e, con mia somma sorpresa, scoprii che era un’intervista inventata di sana pianta dal solito mitomane e malato di mente comunista, ovvero uno dei tanti che campano cercando di diffamare e rovinare il prossimo nel nome dell’antifascismo militante.

Costui, essendo privo di argomenti come tutti i comunisti della storia, invece di contattarmi ed intervistarmi sul serio, preferì inventarsi una serie di assurdità, condite con scurrilità varie, da mettermi in bocca per giustificare la sua paranoia comunista; dulcis in fundo, terminava la sua porcata incollando un pistolotto firmato dalla solita “partigiana che scende dai monti”, comunista, divenuta dopo la guerra deputata pagata a peso d’oro per raccontare ai gonzi le solite storielle resistenzialiste. Più precisamente, data la scarsa fantasia fornitagli da Madre Natura, il compagno giornalista copiò integralmente una vera intervista rilasciata dal sottoscritto al Dott. Enrico Oliari, leader dei cosiddetti gay-lib, ovvero quella parte del mondo gay che parteggia per la destra; tale intervista è ancora oggi visibile sul sito del Dott. Oliari: http://www.oliari.com/interviste/gariglio.html. Ma essendosi la suddetta intervista svolta su binari di assoluta correttezza e non potendo così additare al pubblico ludibrio il Fascista tanto odiato, il compagno giornalista decise di taroccarla nel peggiore dei modi, ossia inserendo qua e là dei termini volgari che non ho mai pronunciato in vita mia, tipo “culattoni”, ed inventando del tutto domande e risposte dalle quali si evinceva che il sottoscritto avrebbe definito i Giudici “tutti bastardi, ebrei e comunisti”, ovvero una definizione che neppure un demente oserebbe dare in una pubblica intervista, al di là di quello che dovesse realmente pensare a proposito. A mo’ di ciliegine sulla torta il compagno scribacchino aggiunse anche, sempre a nome mio, qualche insulto e minaccia ai danni degli elettori di AN, nonché un discorso sconnesso volto a difendere uno dei tanti nazisti accusati di avere compiuto stragi ai danni della popolazione italiana durante la guerra, benché io mai avessi parlato di quel caso specifico…

Credeva così il partigiano giornalista di essersi guadagnato l’assunzione presso “Repubblica”, nonché di avere messo nei guai il sottoscritto, descrivendolo come un rozzo ignorante capace solo di pronunciare discorsi sconclusionati, volgari e minacciosi… Magari nella sua fantasia malata di povero comunista sognava una denuncia ai miei danni da parte di qualche suo compagno importante o di qualche toga rossa offesa dai “miei” insulti… Ma aveva fatto i conti senza l’oste, dato che non appena mi accorsi della falsa intervista, mi precipitai a denunciare il fatto alla Magistratura. Francamente temevo che tutto sarebbe finito come al solito, ovvero con qualche solerte PM rosso di Asti pronto ad archiviare la mia denuncia, ma stranamente, almeno per una volta, alle toghe rosse astigiane sfuggì la mia querela ed il compagno giornalista venne rinviato a giudizio!

Accortosi che per una volta il “soccorso rosso” giudiziario stava venendo meno, l’eroico giornalista comunista decise di venire a patti con l’odiato Fascista da abbattere: mi fece contattare da un avvocato, che mi propose di ritirare la denuncia in cambio di ben due interviste riparatrici, una da pubblicarsi sul periodico telematico che già pubblicò quella falsa, probabilmente ad insaputa del direttore, ed una su un periodico cartaceo non meglio identificato.
Divertito dalla cosa, risposi al partigiano che avrebbe dovuto pagare ben di più per il suo squallido comportamento… E così, fra un’offerta ed una richiesta, dopo alcuni mesi di trattative ed udienze in Tribunale, il giornalista rosso (di rabbia, questa volta) si decise a pagare al sottoscritto 1500 Euro e si impegnò a fare pubblicare un’intervista vera sul periodico telematico incriminato… La promessa di pubblicare anche su un giornale cartaceo, come ogni promessa di comunista, svanì nel nulla.

E siamo arrivati all’intervista che segue, che il direttore del periodico, probabilmente per non farsi troppo sporcare il sito dalla presenza di un Fascista, ha deciso di limitare a 5 soli giorni di pubblicazione… Errore mio quello di fidarmi della parola di un comunista senza farmi mettere in forma scritta l’impegno a tenere l’intervista sul sito in archivio per sempre… Ma la soddisfazione di vedere il compagno giornalista partigiano rifugiarsi sulle montagne con le pive nel sacco ed il portafoglio alleggerito è impagabile, così come è impagabile vedere i salti mortali di quanti prima ti offrono un intervista e poi, per paura ed odio politico, la limitano a 5 giorni di pubblicazione.

Qualora qualcuno di noi avesse mai dei dubbi a proposito della necessità di estirpare dalla faccia della terra il cancro comunista per permettere a tutti di vivere sereni ed in pace, certe esperienze non fanno che fortificare le nostre convizioni: non si può lasciare campo libero a questi sudici personaggi, campioni di vigliaccheria, immoralità, falsità e cattiveria allo stato puro, che purtroppo nel corso degli anni si sono annidati come batteri nei settori più importanti della vita quotidiana, quali magistratura, giornalismo, scuola ed università.

[Primo Piano - interni]
Intervista a Carlo Gariglio
di Riccardo Castagneri
31/10/2009

Dopo una richiesta di rettifica arrivata al nostro giornale, pubblichiamo un’intervista a Carlo Gariglio, rappresentante del movimento politico fascismo e libertà. L’intervista, di Riccardo Castagneri, riporta il pensiero politico e le opinione del dottor Carlo Gariglio che lasciamo alla valutazione dei lettori di rivist@. In un precedente articolo, sempre ad opera di Riccardo Castagneri, le opinioni riportate non erano conformi a quanto sostenuto dal movimento politico fascismo e libertà e dal suo rappresentante.

RC: Dottor Gariglio,Nelle ultime consultazioni lei ha invitato gli iscritti e i simpatizzanti di Fascismo e Libertà all’astensione al voto. Come pensa di poter sostenere le vostre rivendicazioni e di poterli rappresentare democraticamente?
CG: E quale alternativa avevamo? Quando si vive in una società mafiosa, ove si scontrano una coalizione di mafiosi antifascisti di sinistra ed una coalizione di mafiosi antifascisti di destra, che alternativa hanno quelli che, come noi, amano definirsi fascisti ed antimafiosi? Dovremmo forse scegliere di votare per il meno antifascista? Un fascista con un minimo di amor proprio non può votare per chi si vanta di essere antifascista, anche a costo di non essere rappresentato in alcun modo nella politica odierna.

RC: Per quale motivo ritiene che oggi sia possibile essere fascisti e quali sono i motivi che vi portano a prendere drasticamente le distanze dagli altri movimenti dell’estrema destra?
CG: Potrei ribaltare la domanda: per quale motivo non dovrebbe essere possibile oggi essere fascisti? Se la sua obiezione riguarda la data di nascita dell’ideologia, le ricordo che comunismo, socialismo, liberalismo e dottrine varie sono tutte più antiche del fascismo; se, invece, voleva sottintendere qualcosa a proposito dei risultati ottenuti, Le ricordo che il tanto vituperato fascismo prese in mano un’Italia ferita da una I Guerra Mondiale vinta senza godere dei riconoscimenti promessi dagli alleati, nonché sconvolta dal cosiddetto “biennio rosso” (il periodo storico in cui socialisti e comunisti misero a ferro e fuoco l’Italia nel tentativo di trasformarla in un soviet sull’esempio della rivoluzione bolscevica in Russia), e la seppe trasformare in un Paese moderno, con una legislazione sociale a tutela delle classi deboli che ci invidiò il mondo intero, con istruzione e sanità gratuite, con diritto alla proprietà della casa per tutti i lavoratori e con un’espansione di infrastrutture mai più eguagliata. Oggi molti hanno la faccia tosta di dirsi comunisti, benché il comunismo ovunque sia giunto al potere ed in qualsiasi epoca storica, non ha mai prodotto altro all’infuori di Gulag, stermini, privazioni della libertà, guerre e miseria… Circa l’estrema destra, la risposta è molto semplice: non abbiamo nulla a che fare con “lorsignori” perché il fascismo non è mai stato di destra, ed anzi, se va a leggersi il primo programma fascista del 1919, lo si potrebbe collocare persino a sinistra! La favoletta del fascismo al soldo di borghesi e capitalisti per soggiogare le classi operaie deriva dai soliti cialtroni che hanno mistificato tutta la storia degli ultimi 90 anni; il fascismo non fu altro che una forma di socialismo nazionale, ovvero un socialismo epurato dalle tante cretinate internazionaliste del marxismo… Non a caso il fascismo legiferò un Ventennio a favore delle classi umili e meno abbienti, limitando notevolmente le pretese della borghesia rapace e sfruttatrice ed arrivando persino a socializzare le imprese. Sarà forse per questo motivo che i migliori alleati dei sedicenti “partigiani” furono proprio gli industriali del Nord Italia, i quali vennero ripagati dai loro compagni di merende del CLN con l’abolizione immediata della Legge sulla socializzazione?

RC: Ci sono state in passato o ci saranno in futuro delle intese con il PDL di Berlusconi e Fini?
CG: Dato che, come accennavo prima, noi non abbiamo nulla a che fare con la destra, sia essa estrema, sociale, moderata o come diavolo la vogliono chiamare, non abbiamo mai avuto, né mai avremo, qualcosa a che fare con il PDL o con i suoi alleati occulti dei vari Forza Nuova, Fiamma Tricolore, Azione Sociale ed altri, ovvero con quanti fingono di rifiutare il berlusconismo per poi venire a patti con il duo Berlusconi – Fini in cambio di qualche sgabello ed un piatto di lenticchie. Senza contare la pregiudiziale antifascista che costoro amano sbandierare…Certo, a volte non possiamo fare a meno di notare che a fronte del rischio di essere governati da personaggi come Prodi, Di Pietro, Veltroni, Franceschini ed altri, persino un uomo come Berlusconi può apparire un salvatore della Patria ed assurgere al ruolo di statista… Ma da questo a sostenerlo ce ne passa!

RC: Pur condividendo gli attacchi a mafie, massonerie, scandali e malapolitica, davvero è convinto che il ventennio sia totalmente immune da colpe ed errori?
CG: L’ho mai detto? Se il fascismo viene guardato con occhi onesti e non con l’ottica menzognera dei vecchi stalinisti che lo combatterono non per amore di democrazia, ma per trasformare la nostra povera Italia in una colonia dell’URSS, il bilancio di 20 anni di governo non può che essere largamente in attivo. Le opere pubbliche ancora oggi in piedi ed i pochi diritti rimasti ai lavoratori ed ai poveri provengono tutti dal fascismo, mentre 64 anni di “democrazia” cosa hanno portato? Scandali, ruberie, tangenti, mafia (estirpata dal fascismo e riportata dagli “alleati” al potere in tutto il sud Italia fin dal primo giorno del loro sbarco), tasse astronomiche, ticket sulle medicine e sulle prestazioni sanitarie, pensioni da fame, corruzione in ogni campo della vita sociale…Devo continuare?

RC: Converrà che nelle amministrative di giugno 2009, avete raggiunto un risultato significativo in due soli paesini dell’astigiano. Come pensa che possa essere recepito il messaggio che Fascismo e Libertà è, come dire, un movimento nazionale?
CG: Noto con piacere che si è informato sui nostri risultati elettorali… Bene, ma come al solito l’informazione è lacunosa, perché dimentica di ricordare che siamo stati sì presenti in 4 piccoli comuni (3 dell’astigiano ed uno del torinese), ma che saremmo anche stati presenti con pieno diritto alle elezioni Provinciali di Torino (cioè di una provincia con 2 milioni e mezzo di abitanti), nonché ad un’altra comunale di un piccolo paesino del milanese… Dico saremmo perché, essendo l’Italia una finta democrazia ed un vero regime mafioso – partigiano, un gruppuscolo di magistrati torinesi della Corte d’Appello (le solite toghe rosse in servizio permanente ed effettivo) ha pensato bene di cacciare via la nostra lista dalle provinciali ritenendo il nostro simbolo illegale… E questo nonostante sia lo stesso simbolo che è stato consacrato del tutto legittimo da un’apposita Sentenza del Consiglio di Stato del 1994… Nonché lo stesso simbolo che è stato ritenuto legittimo per il Comune di Brozolo, che sempre in provincia di Torino è! Dunque è bene tenere presente che le liste MFL presenti alle elezioni sono solo una piccola parte di quelle presentate, dal momento che ogni anno prefetti e vice prefetti corrotti, nonché magistrati partigiani, si divertono a sabotare le nostre liste per guadagnarsi benemerenze da parte del mafioso regime antifascista. In ogni caso, nonostante l’artiglieria pesante utilizzata dal regime, dal 1999 ad oggi il MFL è riuscito ad essere presente in varie elezioni amministrative delle province di Asti, Torino, Como, Pavia, Brescia, Roma, Isernia, Campobasso, Sassari, Cosenza, ottenendo anche l’elezione di vari consiglieri comunali (alcuni tuttora in carica) in provincia di Asti, Torino, Isernia, Campobasso e Sassari. Non saremo il PDL o il PD, ma ci siamo… E questo nonostante i sabotaggi da “Repubblica delle Banane”, il cui resoconto è puntualmente riportato sul mio blog: www.lavvocatodeldiavolo.biz

RC: Molto spesso denunciate pubblicamente atti di sabotaggio nei confronti delle vostre liste elettorali e limitazioni dei vostri diritti politici: a cosa vi riferite?
CG: Un primo accenno lo ha già avuto a proposito dell’illegittima esclusione dalla provinciali di Torino. Un altro esempio, di rara gravità, posso farlo a proposito del Comune di Nosate (MI). Lì, in occasione delle ultime elezioni, la Commissione Elettorale ha correttamente valutato la legittimità della lista MFL e del relativo simbolo, approvando entrambi ed inserendoci nel sorteggio per il numero d’ordine della lista. Ma ben 15 giorni dopo, su sollecitazione addirittura del Prefetto di Milano (il quale non ha un simile potere, è bene saperlo), la commissione si è nuovamente riunita stracciando la precedente decisione ed eliminando dalle elezioni la nostra lista! Tutto questo, mi ripeto, accade in spregio a Leggi e Sentenze stesse della giustizia penale ed amministrativa, in quanto fin dal 1992 le Procure della Repubblica Italiana interpellate, hanno sancito che il MFL è un movimento del tutto legittimo, con uno Statuto ed un programma democratici e che nulla abbiamo a che fare con i reati previsti dalla XII Disposizione Transitoria della Costituzione e dalla cosiddetta “Legge Scelba”, mentre i TAR di Lazio e Sicilia hanno sancito, imitati poi dal Consiglio di Stato, la nostra piena legalità anche dal punto di vista del contrassegno elettorale. Ciò nonostante, ogni nostra apparizione alle elezioni mobilita l’apparato dello Stato con il solo ed unico fine di limitare il più possibile la presenza elettorale e propagandistica del MFL, azioni che non esito a definire attuate con modalità mafiose… Presenza che, è utile sottolineare, ci sarà sempre impedita per quanto riguarda le elezioni nazionali ed europee, in quanto, nei modi a parer mio non democratici degli apparati del Ministero, che decidono a proposito dei contrassegni che vengono depositati in quelle occasioni, hanno sempre respinto il nostro simbolo, incuranti persino della già citata Sentenza del Consiglio di Stato del 1994, la quale venne promulgata proprio su richiesta dello stesso Ministero dell’Interno! E questo perché accade? Perché le decisioni del Ministero in tema di contrassegni elettorali sono inappellabili! Ovvero, non esiste organo superiore a cui proporre appello, cosa che è largamente anticostituzionale…Persino i TAR sono stati prezzolati a questo squallido fine, infatti dal 2005, su indicazione del Consiglio di Stato, tutti i ricorsi pre-elettorali di piccoli partiti o liste scomode come la nostra vengono bocciati con la motivazione che vanno riproposti DOPO le elezioni, al fine di chiederne l’annullamento e la ripetizione… Si può Immaginare da solo quante possibilità ci sono per un piccolo movimento di vedersi riconoscere giustizia tramite l’annullamento e la ripetizione di un’elezione nazionale, europea, regionale o anche solo provinciale! Ovviamente, se a ricorrere è il PDL, il TAR finge di non ricordare la direttiva del 2005 e riammette la lista, come accaduto per le provinciali di Savona del giugno scorso! E vi stupite ancora se qualcuno, di fronte alla scelta fra un regime all’acqua di rose come quello del Ventennio ed un regime mafioso – partigiano impostoci dalle baionette straniere, osa preferire il primo, ove almeno nessuno si riempiva la bocca di vuote parole tipo “libertà”, “democrazia” e “diritti costituzionali”?

RC: Il suo è comunque un attacco a ministeri, magistratura, alte cariche dello Stato. Un attacco senza quartiere alle istituzioni.
CG: La cosa le pare strana? Noi non facciamo altro che denunciare cose tristi e reali, che chiunque può verificare anche solo visionando sul nostro sito le varie Sentenze disattese che legittimano la nostra esistenza (http://www.fascismoeliberta.info/phpf/viewpage.php?page_id=6) Dovremmo forse accettare supinamente, come fa la maggior parte di questo popolo di rimbecilliti dal Grande Fratello e Face Book, di vivere in una dittatura illiberale camuffata da democrazia?

domenica 1 novembre 2009

Allevatori o produttori? Il business dei cuccioli

Tratto da www.liberazione.it

E' sopratutto grazie all'ordinanza Martini di agosto, che prevede per tutti i cani l'iscrizione all'anagrafe canina e il microchip, che l'estate 2009 ha segnato un netto calo, il 51% in meno, degli abbandoni di animali. Politiche contro il randagismo sono inserite anche nella Finanziaria: per il 2010 è previsto infatti uno stanziamento di 3.415.000 di euro che al 60% dovranno essere usati per sterilizzare i randagi e per incentivare lo stesso procedimento negli animali "di proprietà". Questi interventi sono in parte utili, ma la risoluzione del problema effettivo, cioè che i cani sono troppi ed è per questo che ci sono tanti randagi in giro e i canili sono stracolmi, resta lontana.
Non si verrà mai a capo del problema finché continuerà da parte di allevatori professionali e amatoriali la "produzione" massiccia e incontrollata di cuccioli, che prendono il posto dei trovatelli e sono spesso le vittime dell'abbandono da parte di chi sceglie un cane e un gatto solo per fare affari. Come per ogni forma di investimento, anche se qui in ballo ci sono esseri viventi, lo scopo di chi alleva è la massimizzazione del profitto: è per questo che le mamme, le cosiddette fattrici, possono "sfornare" nella loro vita un gran numero di cuccioli perché non esiste un limite preciso di età oltre il quale evitare gli accoppiamenti. Serve un certificato dopo i 7 anni, spiegano all'Enci, l'associazione degli allevatori di cani, ma si arriva tranquillamente fino ai 9-10 anni.
Secondo il codice deontologico dell'associazione, gli allevatori sono tenuti a rispettare le leggi vigenti sul benessere degli animali, ma di fatto non esiste alcun organo deputato al controllo e nel regolamento ufficiale l'associazione si limita a enunciare i rigorosi parametri che escludono dall' ottenimento del pedigree (ovvero di fatto dalla vendita) i cuccioli nati da accoppiamenti avvenuti accidentalmente tra cani non selezionati all'uopo, quelli con determinate patologie e quelli in generale fuori dallo standard internazionale della razza.
E' istintivo allora chiedersi che fine facciano gli animali scartati o le mamme che non possono più figliare. Purtroppo non è un'illazione degli animalisti, ma quanto ammettono gli stessi soci dell'Enci, che per tanti di loro il destino sia un'illegale soppressione. Perché, del resto, degli imprenditori dovrebbero spendere per mantenere in vita animali inutili, se il loro interesse è puramente economico? E la molla del profitto è quella che spinge anche la maggioranza dei compratori. E' tanto lampante questo che, come spiega un allevatore, esiste una regola non scritta, ma praticata in generale, per cui se un acquirente scopre che il suo esemplare è affetto da patologie congenite, non riconosciute o riconoscibili alla vendita e che precludano, ad esempio, la partecipazione ai concorsi di bellezza, può richiedere la metà della cifra spesa o addirittura il cambio del cane.
Di recente, poi, è venuto alla luce un caso molto grave che fa riflettere sulle aberrazioni cui può portare la logica del profitto e la mancanza dei controlli in un settore così delicato. Nel gennaio 2009 il Nirda, il nucleo della Forestale che si occupa dei reati contro gli animali, ha messo sotto sequestro l'allevamento di cani pointer "Del Vento" di Ravenna per gravi evidenze di maltrattamento. L'allevatore applicava alla luce del sole un metodo di "selezione naturale" che presupponeva la non regolare distribuzione del cibo e dell'acqua, affinché solo gli animali più forti sopravvivessero attraverso la sopraffazione dei più deboli. Chi non riusciva dimostrava di non esser adatto a prolificare. Al momento dell'incursione della Forestale sono stati trovati quasi 220 animali, 30 i cuccioli, ridotti a pelle e ossa, pieni di ferite e di parassiti, ricoperti di feci che per stessa ammissione del proprietario non venivano rimosse da anni. Gli animali sopravvissuti sono tuttora ricoverati presso una struttura dell'associazione Animal Liberation , in attesa che la magistratura si esprima sulla denuncia di maltrattamento e gli animali possano essere eventualmente adottati. Il proprietario era in possesso del regolare "affisso" Enci, che è stato poi sospeso al momento del sequestro in attesa della sentenza. E' inquietante, e fa pensare, che anche di fronte a una situazione di tale evidente gravità da comportare un intervento immediato delle autorità, la reazione della cinofilia non sia stata di aperta condanna, anzi. L'allevatore è stato invece appoggiato apertamente dal Pointer Club d'Italia, l'associazione dei "produttori" di questa razza di cani da caccia, che, in contrasto con la stessa Enci, ne giustificava l'operato e si preoccupava che la sottrazione dei cani all'uomo potesse mettere a rischio il prezioso valore genetico dei cani.
E ancora oggi sul sito di un'importante rivista venatoria si leggono i commenti di solerti difensori della razza pura che lamentano lo stato dei cani mostrati, più in carne e liberi, sul sito di Animal Liberation , «rovinati perché troppo grassi rispetto allo standard», e auspicano una revisione della legge sul benessere degli animali perché non possano più accadere casi simili. Ovvero che la vita dei cani possa contare di più del business che si fa sulla loro pelle.
Leonora Pigliucci