venerdì 21 agosto 2015

Come l'Impero Romano. Anzi, peggio


Se esiste un momento, nella storia delle civiltà, in cui la decadenza si tocca con mano, si sente, si respira, si vive quotidianamente, questo è quello attuale. I romani del 476 d.C. avevano, quantomeno, una scusante: essendo immersi in quel tempo, ed essendo il primo e il più grande impero che il mondo abbia mai conosciuto, era semplicemente inconcepibile che Roma, voluta dagli dei e plasmata con la mano degli uomini, potesse cadere. Per mano dei germanici, per giunta! Invece, come sappiamo, accadde, più o meno (non è in questa sede il caso di dibattere dell’influenza del cristianesimo sulla caduta e sulla fine dell’Impero Romano) esattamente così.
Lungi noi dall'essere un Impero, ma è indubbio che la sovranità nazionale dell’Italia, così come ci intestardiamo a concepirla e a sognarla ancora, sul solco di quella Tradizione di regole e giustizia che i popoli si sono autoimposti per secoli e secoli e che hanno permesso il fiorire della civiltà e del progresso, è sostanzialmente cancellata. Dai grandi mutamenti che viviamo alle polemiche di bottega, assistiamo ad un degrado dello Stato quale mai si era visto.
L’invasione migratoria, innanzitutto. Nessuno di noi ha mai pensato di innalzare muri, costruire frontiere, imbastire blocchi navali: abbiamo sempre pensato che il confronto fra culture e persone diverse fosse necessario e auspicabile. Quella che sta subendo l’Italia, però, altro non è che una vera e propria invasione, attuata con mezzi solo apparentemente pacifici, che sta rapidamente disgregando non solo la componente etnica, culturale e spirituale di quello che un tempo non avremmo esitato a definire come il popolo italiano, bensì anche le sue istituzioni, il suo Stato sociale, i suoi fondamentali punti di riferimento. Sarebbe facile bollare questa invasione del continente italiano ed europeo come il risultato di politiche buoniste, frutto delle scelte scellerate di una classe politica che, mentre rimane saldamente trincerata dietro le sue posizioni di privilegio economico, sociale e politico, un giorno si e l’altro pure trova necessario indicarci col suo ditino moralizzatore per darci dei razzisti se solo osiamo ribellarci all’immigrazione, definita come un qualcosa di quasi necessario, addirittura inevitabile, quasi fosse un imposizione della Storia e contro la quale gli uomini non possono assolutamente opporsi. Ciò ha anche la sua importanza, senza alcun dubbio, ma non tutti sanno che l’imbastardimento del continente europeo, nelle sue componenti razziali quanto spirituali, è invece un piano ben studiato a tavolino e che, dopo la sconfitta dei Fascismi nel secondo conflitto mondiale, ha potuto trovare, lentamente ma inesorabilmente, piena applicazione.
Fu infatti il Conte Richard Kalergi, massone di alto rango, colui che fin dal 1922, anno in cui fondò il suo movimento “Paneuropa”, pensò al continente non come ad un insieme di nazioni, ognuna dotata della propria specificità, delle proprie caratteristiche culturali, economiche, morali e spirituali, bensì come ad un unico, immenso calderone multirazziale nel quale i popoli sarebbero confluiti per perdere ognuno le proprie caratteristiche fondamentali e diventare una informe massa di sudditi, manovrabili a piacimento dalle elites mondialiste.
Eccome come Gerd Honsik, nel suo “Il piano Kalergi”, descrive l’idea che, pian piano, si insediò nei think-thank intellettuali, nei salotti dell’intellettualità europea e, infine, nelle stanze dei bottoni della politica:
Kalergi proclama l’abolizione del diritto di autodeterminazione dei popoli e, successivamente, l’eliminazione delle nazioni per mezzo dei movimenti etnici separatisti o l’immigrazione allogena di massa. Affinchè l’Europa sia dominabile dall’elite, pretende di trasformare i popoli omogenei in una razza mescolata di bianchi, negri e asiatici. A questi meticci egli attribuisce crudeltà, infedeltà e altre caratteristiche che, secondo lui, devono essere create coscientemente perché sono indispensabili per conseguire la superiorità dell’elite. Eliminando per prima la democrazia, ossia il governo del popolo, e poi il popolo medesimo attraverso la mescolanza razziale, la razza bianca deve essere sostituita da una razza meticcia facilmente dominabile. Abolendo il principio dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge e evitando qualunque critica alle minoranze con leggi straordinarie che le proteggano, si riuscirà a reprimere la massa. I politici del suo tempo diedero ascolto a Kalergi, le potenze occidentali si basarono sul suo piano e le banche, la stampa e i servizi segreti americani finanziarono i suoi progetti. I capi della politica europea sanno bene che è lui l’autore di questa Europa che si dirige a Bruxelles e a Maastricht. Kalergi, sconosciuto all’opinione pubblica, nelle classi di storia e tra i deputati è considerato come il padre di Maastricht e del multiculturalismo. La novità del suo piano non è che accetta il genocidio come mezzo per raggiungere il potere, ma che pretende creare dei subumani, i quali grazie alle loro caratteristiche negative come l’incapacità e l’instabilità, garantiscano la tolleranza e l’accettazione di quella “razza nobile”.
Una abnorme massa di bestie, senza più alcuna cultura da difendere, senza religione, senza tradizione, è ben più facilmente malleabile e dominabile di un popolo di patrioti, che amano la propria Patria, la propria terra e, all’occorrenza, sono anche disposti a combattere e a dare la propria vita per difendere quei valori superiori nei quali credono.
In un mondo anche solo di cinquant’anni fa avremmo potuto esprimere senza timore tutto il nostro odio e il nostro disprezzo per i giovani di venti, trenta, quaranta e cinquant’anni che partono per scappare dalle miserie della propria Patria anziché imbracciare un fucile per difenderla come hanno fatto i nostri avi e, più generalmente, come hanno sempre fatto le comunità nazionali quando, a torto o a ragione, si sono trovate minacciate nella propria libertà e finanche nella propria esistenza. Del resto cosa hanno fatto Fascisti e partigiani, pur su posizioni diametralmente opposte, se non imbracciare il fucile per lottare in nome di quegli ideali che, a torto o a ragione, professavano? Viceversa, oggi, esprimere un simile concetto non solo significa per il suo autore una condanna unanime come razzista, omofobo e Fascista, ma viene usato, nella retorica disgustosamente pietista e buonista propinata ogni giorno a piene mani dai media di massa, come scusa per favorire quella invasione a causa della quale un sempre maggior numero di italiani vive in situazioni di insicurezza, disagio, malessere costante, quando non in situazioni di vera e propria criminalità.
Il mantra buonista, ormai, viene imposto dal Sistema come qualcosa in cui credere senza fare domande, come una vera e propria religione laica e che, proprio come una religione, ha i suoi dogmi (“Scappano dalla miseria e dalla guerra”, “Noi occidentali siamo in gran parte responsabili delle loro sventure”), i suoi martiri (la figura del “migrante”, termine utilizzato della neolingua orwelliana per definire quello che è rimarrà solo e semplicemente un immigrato clandestino, quando non un vero e proprio parassita che, per tutta una serie di ragioni dipendenti o meno dalla sua volontà, si trova a sussistere esclusivamente con i mezzi di sussistenza e di vita che altri gli forniscono, cioè da parassita), i suoi nemici di sempre (il razzista, il fascista, l’omofobo, colui che rifiuta di integrarsi).
Apro una piccola parentesi: chi ha detto che io debba integrarmi? Cosa dovrei imparare da una cultura, come è spesso e volentieri quella africana, che è decenni, se non secoli, indietro a noi per quanto riguarda le regole di civiltà e di convivenza? Cosa mai avrei da imparare da gente simile? E se, pur avendo qualcosa da imparare, non volessi farlo e volessi rimanere rinchiuso nella mia crassa ignoranza e nella mia bieca “chiusura mentale”? Anche i mentalmente chiusi, ammesso e non concesso che lo siano veramente, dovrebbero poter avere il diritto di rimanere tali.
Questa immigrazione di massa, come dicevo sopra, viene descritta come un qualcosa di necessario, di ineluttabile, di quasi auspicabile per poter creare quella sorta di Paradiso sulla terra in cui, liberi finalmente dalle nostre antiche costrizioni mentali come le nozioni di razza, di cultura, di religione, di Patria, potremo vivere tutti insieme, e liberi. Se certe stupidaggini non venissero propagandate dai media con una tale insistenza e con una tale forza da far presa su una grandissima parte degli italiani, sarebbe addirittura imbarazzante parlarne. La prima reazione degli antirazzisti, questa massa di personaggi costantemente animata da un imbecille senso di colpa nei confronti del mondo africano e che pretende di mondare, essa stessa, per tutti quanti (anche coloro che responsabili non si sentono affatto), quelle colpe di cui si sente responsabile disintegrando e annichilendo i propri simili, è quella di etichettare tutti coloro che si oppongono all’immigrazione come dei trogloditi, dei violenti, degli insensibili alla sofferenza altrui, dei violenti fascisti che si trincerano dietro le proprie posizioni di privilegio. Bastava poco per capire, come la cronaca e come le inchieste giudiziarie mettono in luce tutti i giorni, che coloro che si arricchiscono con l’immigrazione sono essenzialmente la Chiesa e le cooperative rosse, e che i cattivi fascisti, il più delle volte, spesso e volentieri sono semplici cittadini, che sono costretti ad urlare con forza per vedersi riconoscere i diritti che, in uno Stato civile, sarebbero semplicemente acquisiti: il diritto di precedenza nell’assegnazione di una casa popolare o di un posto di lavoro, il diritto a vivere nel proprio quartiere senza essere costretto ad avere a che fare quotidianamente con ladri, assassini, spacciatori e prostitute, tutte categorie che, di fatto, si sono impossessati dei quartieri di molte città che sono diventati “cosa loro”.
Poiché l’olezzo di tali balle è diventato talmente forte che anche coloro che facevano finta di sentire solo odore di lavanda e vaniglia non possono ormai fare più finta di niente, e vedono montare sempre di più la rabbia di una sempre maggiore parte di italiani (i quali, spesso, condividono con questi indegni esseri la colpa di non essersi opposti come avrebbero dovuto e potuto alle politiche mondialiste e liberiste di questa gentaglia, quando non hanno la colpa, gravissima, di averli votati e sostenuti per anni), siamo costretti, alla TV o sui giornali, ad avere a che fare con la nuova figura formata da questi presunti mediatori culturali che, se da un lato cercano di portare avanti le loro ragioni, basate semplicemente su un disgustoso buonismo pietista che favorisce gente lontana da noi (ma molto vicina a loro) per discriminare chi invece parla la nostra stessa lingua e ha il nostro stesso colore della pelle, spesso e volentieri sentenziano: “Capiamo le vostre paure, spesso si ha paura di ciò che non si conosce”. Questo pensiero, oltre che ridicolo, è anche profondamente offensivo, in quanto sembra quasi di avere a che fare non con dei cittadini che difendono i loro diritti, ma con dei cavernicoli incapaci di relazionarsi con chiunque non sia il suo vicino di casa, e spesso nemmeno con quello. Gioverebbe ricordare, ai soloni ed ai fanatici dell’accoglienza, che l’Italia, e con essa l’Europa tutta, è una comunità storicamente abituata al contatto con genti straniere, con culture diverse, con popolazioni solo apparentemente lontane da noi. Sentirci dare dei “mentalmente chiusi” da gente i cui popoli, spesso e volentieri, vivono ancora in capanne è francamente assai fastidioso.

Che ci voglia una certa dose di coraggio, anche fisico, nel difendere la sovranità della propria Nazione, ce lo dimostra qualunque giornale degli ultimi giorni. Semplici fatti di cronaca che però assumono una rilevanza ben più importante di quella che potrebbe sembrare apparentemente.

A cosa mi riferisco, in particolare? È presto detto. Qualche giorno fa Vittorio Brumotti, il campione di bike trail e inviato speciale del programma Mediaset “Striscia la Notizia” è stato aggredito, per questioni futili, da un gruppo di albanesi mentre pedalava con la sua mountain bike. Immediatamente, sui social network e non solo, la sua prima preoccupazione è stata quella di non alimentare alcun episodio di razzismo dichiarando chiaramente: “Sono stato pestato da un gruppo di albanesi, ma mi raccomando, ragazzi: non facciamo i razzisti”. Potete solo immaginare quanto sia forte il regime se un uomo di spettacolo, quale è Brumotti, subisce un pestaggio violentissimo e immediatamente dopo si sente in dovere, per salvarsi la carriera (che, ci auguriamo di no per lui, ovviamente!, è in serio pericolo, visto che è stato pestato con talmente tanta rabbia e violenza che la parete dell’occhio si è staccata e dovrà subire un delicatissimo intervento chirurgico che, se non riuscirà, potrebbe compromettere per sempre la sua capacità visiva), di chiedere di non commentare con insulti razzisti sulla sua pagina Facebook.

Solo un malato di mente, drogato dalla propaganda mondialista e mass mediatica incessante, può lasciarsi andare in sproloqui antirazzisti dopo essere stato appena pestato. Brumotti è un personaggio pubblico, e deve garantirsi la carriera: mai gli sarebbe permesso un minimo sgarro. Peccato che la stessa cosa non possano dire Frank e sua moglie, i due commercianti di Brescia che sono stati uccisi da una coppia di pakistani perché – udite udite! – gli rubavano il lavoro. Nemmeno noi, che pure in quanto a pessimismo spesso e volentieri non scherziamo affatto, ci saremmo mai immaginati gli stranieri che uccidono perché gli italiani, in Italia, gli rubano il lavoro.

Mai ci saremmo immaginati di vedere gente proveniente dall’Africa protestare, da comodi alberghi a 4 stelle che molti italiani, tartassati da uno Stato tanto prepotente quanto sanguisuga, nemmeno si sognano, per il troppo caldo. Mai ci saremmo sognati di vedere gente che scappa dalla propria Terra (e già questo, lo ripetiamo, solo qualche decennio fa, quando ancora le comunità avevano ancora qualche ombra di patriottismo, sarebbe stato considerato un crimine intollerabile) a causa della guerra e della fame buttare i piatti della Caritas in mezzo alla strada, perché non confacenti alle prescrizioni religiose dei clandestini o perché, più semplicemente, poco buoni.

Che questo Stato sia assente, ormai, è palese anche a chi, per lo stesso Stato, ci lavora. Lo dice molto bene Francesco Florit, gip in forza al Tribunale di Udine, che è costretto candidamente ad ammettere quello che a chiunque non sia un malato di mente devastato dal cancro dell’antirazzismo appare chiaro ed inconfutabile: che in Italia la certezza della pena è inesistente, che lo Stato ha una manica larga, anzi larghissima, con i delinquenti, ancor più se sono clandestini,  e che pertanto sempre più persone vengono qui perché si può delinquere tranquillamente. Perché una Boldrini, un Nichi Vendola, un magistrato che ti dà le attenuanti, qualcuno in tua difesa, sia come sia, in questo Paese lo trovi sempre.

Lo hanno dimostrato bene i Casamonica, omaggiando il loro boss esperto in armi, estorsione, riciclaggio di denaro sporco, droga e prostituzione, che si permettono funerali sfarzosi, costringendo tutta la politica, da destra e da sinistra, a clamorosi distinguo, prese di posizione, “non sapevamo”, “se sapevamo ci siamo dimenticati”, “se non c’ero dormivo”.

Uno Stato del genere, terra di conquista per ladri, immigrati di varia risma, delinquenti comuni, mafiosi, massoni ed assassini, non merita i Falcone, i Borsellino, i Mori, e tutti coloro che si sono silenziosamente ed eroicamente sacrificato per il bene di questa nazione smemorata ed ingrata. Uno Stato del genere, che non riesce nemmeno a fermare due zingarelle in metropolitana (a proposito: avete mai preso la metropolitana a Roma? Avete visto con quale arroganza e impunità le borseggiatrici rom importunano i passeggeri nei pressi delle biglietterie, minacciano chi le scaccia via, sbeffeggiano ed insultano le forze dell’ordine?) cosa può pensare di fare contro un clan mafioso potentissimo, che ha ramificazioni economiche ed affaristiche in tutta Europa, e che non esita a sparare per raggiungere i suoi obiettivi?

Noi, invece, che cosa possiamo fare in tutto questo? Resistere. Resistere ad oltranza. Difendere un’Idea, difendere noi stessi, impersonare nei nostri atteggiamenti, nel nostro disprezzo e nel nostro odio verso questo mondo in rovina, l’ultima, estrema forma di resistenza. Prima o poi il vento dovrà cambiare direzione. E chissà che, dai semi che abbiamo piantato noi, non possa giungere qualcuno o qualcosa migliore di noi, ma che a noi dovrà essere, almeno un minimo, debitore.
Perché sappiamo che Roma cadde. E risorse. Di nuovo.

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