domenica 15 febbraio 2009

Pacchetto sicurezza: ecco la censura di internet

Nel disegno di legge 733, quello che viene definito “pacchetto sicurezza”, c’è un importante elemento riguardante il futuro della rete internet in Italia, con rischi per la libertà di informazione e di pensiero. Questa proposta viene presentata come un elemento legislativo importante per impedire l’incitamento all’odio razziale, alla violenza, all’intimidazione ed alla diffamazione tramite la rete web. Apparentemente non c’è nulla di strano. E’ del tutto legittimo e giusto, infatti, impedire che tali reati vengano compiuti anche nella rete internet: poiché l’incitamento alla violenza, alla discriminazione e all’odio razziale sono reati già sanzionati all’interno del Codice Penale, ci si aspettava l’estensione di questa legislazione anche ad internet, che, ora come ora, è terra di nessuno. A leggere meglio l’emendamento, però, le cose non stanno così.
Nel DDL, a firma Gianpiero D’Alia dell'UDC (in foto), l’articolo 50 bis, dopo un primo rimaneggiamento, afferma:

"Salvo che il fatto costituisca reato, il Ministro dell'interno, quando accerta che alcuno, in via telematica sulla rete internet, compie attività di apologia o d’incitamento di associazioni criminose in generale, di associazioni mafiose, di associazioni eversive e terroristiche, ovvero ancora attività di apologia o d’incitamento alla violenza in genere e alla violenza sessuale, alla discriminazione o all'odio etnico, nazionale, razziale o religioso, dispone con proprio decreto l'interruzione dell'attività indicata, ordinando ai fornitori di servizi di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine."

Che significa tutto ciò? A mio parere una cosa gravissima: che l’attività delinquenziale non viene più punita e perseguita dalla Magistratura, ma è il Ministero dell’Interno che si attiva, arbitariamente, per oscurare i siti che ritiene contrari alla legge. Per far ciò si appoggia materialmente al proprietario del server informatico che ospita il sito, che ha a sua volta il compito di bloccare l’accesso al sito da parte dell’utenza, pena una sanzione che può andare da 50 a 250 mila euro. Questo implica due cose: il pericolo di un utilizzo arbitrario di questo potere da parte del Ministero dell’Interno, e una vera e propria caccia alle streghe da parte dei gestori della rete, che cercheranno – coerentemente con i loro interessi – di prevenire tali situazioni con un controllo a dir poco rigoroso.

Per i camerati del MFL la cosa non può non suscitare un senso di deja-vu. Fu lo stesso Ministero dell’Interno, quando cercammo di presentarci in Senato con una nostra lista (anno 2006), a dire chiaro e tondo all’allora Vice Segretario Nazionale Alberto Mazzer che, nonostante la nostra legalità fosse ampiamente dimostrata e documentata, non ci avrebbe mai permesso di scavalcare la ricusazione della lista oppure una eventuale censura. Il che avvenne puntualmente e nulla potemmo fare per opporci, dato che appellarsi alle decisioni del Ministero dell’Interno era, nel nostro caso, estremamente difficile. Ancora, fu sempre il Ministero dell’Interno, comandato all’epoca da Beppe Pisanu, a qualificarci come terroristi nell’apposita redazione annuale (sempre nell’anno 2006, a quanto ricordo) preparata sempre da funzionari del solerte Ministro.

Conclusioni: aspettatevi che, da un giorno all’altro, uno dei nostri siti venga oscurato senza alcuna giustificata e plausibile motivazione, nel generale silenzio dei più: se per molti “uccidere un Fascista non è reato”, figuriamoci oscurare i loro siti.

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