martedì 24 febbraio 2009

Il mondo crolla, ma loro combattono il protezionismo


Molto probabilmente, nel solo 2009, la crisi economica in corso porterà a ben 3,5 milioni di disoccupati e ad una complessiva contrazione del dato occupazionale che si aggirerà intorno al 6%. Questi sono i dati, nudi e crudi, della BCE. Tra l’inizio del 2008 e l’attuale 2009, infatti, il tasso medio di disoccupazione europea è passato dal 6,8% al 7,4%. Come ben sappiamo, purtroppo, i mercati che più soffrono attualmente non sono esclusivamente gli hedge funds e i fondi di investimento cosiddetti “tossici”, ma anche quello del mercato automobilistico, vero e proprio cavallo di battaglia dell’industria europea. Già in queste settimane diverse case automobilistiche stanno annunciando la chiusura di diversi impianti o la diminuzione della produzione; i primi giganti cominciano a cadere: la Bridgestone, la multinazionale produttrice ed esportatrice di pneumatici in tutto il mondo, nonché unica fornitrice delle gomme per le monoposto del campionato di Formula 1, annuncia la decisione, definita temporanea, di chiudere buona parte degli impianti produttivi europei.
La Commissione Europea ha valutato anche un altro importante dato: gli assets (altrimenti chiamati anche “attivi tossici”) a rischio corrispondono a circa il 44% del bilancio complessivo delle banche europee; sono all’incirca 18 trilioni di dollari, una cifra semplicemente spropositata difficile, per l’uomo comune e non solo, anche solo da immaginare e da calcolare. Le banche europee, dal canto loro, sono esposte per circa 25 trilioni di dolari.

Il pericolo è concreto: se gli Stati nazionali faranno quello che hanno fatto fin ora, cioè comprare i titolo a rischio o a valore 0 per salvare le banche, il rischio che collassi il debito pubblico nazionale è serio e concreto. In sostanza ci stanno dissanguando per pagare i grandi banchieri e gli speculatori, che rimangono al proprio posto.

Un altro pericolo attende poi gli Stati nazionali: i BOT. Stati enormemente indebitati (Grecia, Italia) riusciranno a sostenere la concorrenza dei BOT di altri Stati più sani (Germania) o più forti militarmente (USA)?

Già, l’America. E in America che fanno? Le iniezioni di denaro liquido effettuate dagli Stati Uniti non hanno superato i 3 trilioni di dollari: in sintesi è come cercare di chiudere la falla in una diga con un dito.

Obama ha appena firmato la legge che con 800 miliardi di dollari “dovrebbe” rilanciare l’economia degli Stati Uniti: sgravi fiscali alle imprese, aiuti diretti ai cittadini, modernizzazione delle infrastrutture; a seguire un pacchetto di aiuti per il settore dell’auto che, guarda caso, sarà strutturato in base ai piani economici che stileranno a breve General Motors e Chrysler.

E mentre i pennivendoli europei sbavano in estasi, attendendo la magia del neoPresidente, questi dimostra inequivocabilmente come intende gestire la crisi economica attuale: lasciarla nelle mani dei grossi banchieri. Facciamo qualche nome tra quelli che Barack Obama ha recentemente inserito nel suo staff. Susan Rice, ambasciatrice ONU; Annemarie Slaughter (un nome, una garanzia: “slaughter” in inglese significa “carneficina”), al Dipartimento di Stato; Neal Wolin, responsabile della politica economica nazionale USA; Ezekial Emanuel, consigliere del Presidente per la gestione economica della sanità americana; Lawrence Summers, presiede il Consiglio Economico Nazionale; Peter Orszag; Peter Rouse e Mona Saupthen, consiglieri del Presidente. Cosa accomuna tutti costoro? Semplice: il provenire dalla scuola Rotschild, l’onnipotente e influentissima dinastia di banchieri ebrei.

La domanda da fare è questa: ma i politici europei stanno facendo qualcosa di concreto? Hanno individuato i punti deboli di questo sistema economico, in modo da poterli correggere? Hanno dei progetti a lungo termine per uscire da questa crisi? Sono tutte domande legittime. Eppure basta fare un giretto tra i giornali di regime per accorgersi che il grande spauracchio di cui si parla in questi giorni è uno solo: il protezionismo. Mentre il mondo va a rotoli, loro pensano a combattere il protezionismo. L’ha detto chiaramente la Merkel, Berlusconi, Sarkozy, ed anche Dennis Blair, il nuovo capo delle spie americane, che ha parlato qualche giorno fa davanti alla Commissione Intelligence del Senato americano. In sintesi, secondo Blair, il più grave pericolo che devono affrontare gli Stati nazionali, ed occidentali in particolare, non è solo la crisi economica e il terrorismo, ma anche e prevalentemente un surrogato della prima: il protezionismo, appunto. L’opinione pubblica, e molti cittadini, si convince sempre più che l’attuale sistema economico capitalistico si sia dimostrato sostanzialmente insufficiente a gestire la crisi economica attuale, e che anzi ne sia la causa principale. Il capitalismo come sistema economico universalmente accettato, pertanto, è in pericolo. E se si guarda alle più recenti dimostrazioni di rivolta popolare in Europa (la Grecia, ma soprattutto l’Islanda, il cui governo nazionale è stato rovesciato dalla popolazione, nel più assoluto silenzio della nostra liberissima stampa), ben presto i governi europei dovranno fronteggiare vere e proprie rivolte popolari e nazionali, le stesse che, negli anni ’20 e ’30, hanno portato ai fascismi europei. Ecco lo spauracchio contro cui combattere: il Fascismo, ancora una volta. Nei loro panni, non la si potrebbe pensare diversamente. Sanno bene che in Italia e Germania governi forti e social-nazionali hanno combattuto la dittatura dei banchieri fino ad immolarsi nell’olocausto della seconda guerra mondiale, da questi ultimi programmato e voluto.

Il mondo crolla, e loro parlano di lotta al protezionismo e al Fascismo. Per difendere il loro potere e i loro privilegi possono solo cercare di prolungare la vita di quel malato terminale che è il sistema capitalistico, anti-umano per eccellenza. Ci affamano e rimangono al timone. Non lo lasceranno spontaneamente.

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