venerdì 7 novembre 2008

Su Barack Obama, o deja-vu


E’ particolarmente istruttivo, per chi come il sottoscritto non cade facilmente preda di entusiasmi viscerali e di improvvisi amori, osservare distaccatamente le reazioni alla nomina a Presidente degli Stati Uniti di Barack Obama, descritto come un modesto e brillante avvocato nero che si è fatto da se, e invece niente di diverso da quello che propone il solito sistema elettorale americano, influenzato in gran parte da lobby più o meno occulte (in primo luogo quella ebraica e sionista), da massonerie più o meno deviate, da grandi gruppi bancari e di potere. Come ha esemplarmente detto Ron Paul, il candidato che i media sono riusciti incredibilmente a non nominare nemmeno una volta nei loro servizi, Barack Obama è lì perché fa parte pienamente del sistema.
Devo ammetterlo: conoscendo gli Stati Uniti come un popolo di razzisti, di “cristiani rinati”, di messia che pontificano dalla TV con il numero di centralino in sovrimpressione, pensavo che difficilmente un negro sarebbe potuto diventare Presidente degli Stati Uniti, a prescindere dai suoi meriti di uomo politico e di immagine. Invece la penosa amministrazione Bush ha sicuramente costretto molti a votare con il naso tappato pur di non rivotare una terza volta per il partito del criminale alcolizzato. Il quale, come Panorama ci informa, lascia al nuovo Presidente questo sfacelo economico e sociale, ottenuto dalla redazione di Panorama confrontando alcuni dati del 2000 con i dati del 2008: debito pubblico da 5.700 miliardi di dollari a 10.300 miliardi di dollari; disoccupati da 6 milioni a 9,5 milioni ; deficit della bilancia commerciale da 436 miliardi di dollari a 794 ; reddito annuale pro capite da 21.587 dollari a 26.352 dollari; 6 milioni di milionari nel 2000 contro i 9,3 milioni del 2008 ; poveri da 31,6 milioni a 37,3; persone senza assicurazione sanitaria da 38,4 milioni a 47 milioni; popolazione carceraria da 1,9 milioni di persone nel 2000 a 2,3 milioni; bilancio per le spese militari da 333 miliardi di dollari nel 2000 a 613 miliardi di dollari nel 2008 (quasi raddoppiato). In più con un prestigio americano al limite storico nel mondo, due guerre in violazione di tutti i trattati internazionali, una crisi finanziaria immane, una disuguaglianza sociale che l’amministrazione Bush ha saputo soltanto aumentare con una politica fiscale sfacciatamente a sostegno dei più ricchi.
Si chiederà al Presidente degli Stati Uniti Barack Obama di risolvere questa situazione, inclusa una crisi economica molto peggiore e più subdola di quella del 1929. In tutte le piazze, in tutti i paesi, su tutti i giornali, si saluta l’avvento di quest’uomo come di un momento “storico”; addirittura il Partito Democratico (italiano) ha festeggiato la vittoria di Barack Obama, non potendo festeggiare la propria. Dicevo che per chi non si lascia andare a facili entusiasmi come il sottoscritto, questo è un copione che sa di già visto. Bene o male si può affermare che lo stesso copione si sia già visto per ogni candidato democratico: un cambio di marcia per l’America, una nuova fase per il mondo, un momento di grande speranza e attesa per le difficili crisi. Ma Barack Obama, proprio perché fa parte del sistema americano, e non ne è certamente una appendice secondaria, potrà o vorrà fare ben poco per cambiare le cose. Coloro che si aspettano un cambiamento dell’America in politica estera, credo che dovranno ben presto ricredersi. Certamente è difficile che il nuovo Presidente abbia la stessa arroganza e protervia a dir poco criminale del suo predecessore; si mostrerà probabilmente più affabile a dialogare con la comunità internazionale, più attento a determinati problemi, ma difficilmente imprimerà una direzione sostanziale alla politica estera americana, basata essenzialmente su un sostegno acritico allo Stato canaglia di Israele e ad una politica di potenza (essenzialmente militare) con gli altri Paesi. Di politica interna non si può parlare, in quanto mi è parso un argomento essenzialmente secondario nella campagna elettorale; segno, evidentemente, che le lacune sociali che i pochi dati citati in precedenza hanno messo in evidenza non erano ritenute prerogative fondamentali.
Un primo esempio di questo nuovo corso di Barack Obama? La nomina a Capo di Gabinetto di Rahm Emanuel, fervente sionista e figlio di un padre (Benjamin Rahn) che fece parte dell’Irgun (in Israele chiamato Etzel), il movimento terroristico sionista autore, tra le altre sue efferatezze, dello spaventoso massacro di Der Yasin. Che, tra le altre cose, Benjamin Netanyahu ha celebrato e ricordato al King David Hotel.
Se è un nuovo corso, non è rassicurante per niente.

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